Prima visione

È bello conoscere la Storia tramite piccole storie quotidiane, magari di eroi silenti e di eroine romantiche, che senza il cinema non avrebbero né voce né volto.
È dall’exploit di The Millionaire, d’altronde, che il pubblico occidentale incontra bendisposto certe vicende di guerra, pregiudizi e povertà orientali, speziate da film sentimentali come questo dello sceneggiatore e regista curdo Fariborz Kamkari, classe ’70. In apertura, l’abbattimento delle statue di Saddam Hussein, ripreso dai network mondiali, colloca il racconto nell’Iraq oppresso dal regime. Ma è Kirkuk, città a nord di Baghdad e calderone di etnie curde, assire ed arabe, il luogo dell’anima dove tornerà Najla (Morjana Alaoui), passionale dottoressa che dopo aver studiato Medicina a Roma, vuole ritrovare l’amato Sherko (Ertem Eser), il fidanzato coinvolto nella resistenza. E se la rosa è la bellezza, il giglio la purezza e la begonia l’amore (da qui, il titolo), sarà il fiore della compassione quello colto da Najla. Perché tante donne spariscono dall’ospedale? Perché il genocidio dei curdi? Che senso ha tacere?
Per amore, la dottoressa incalzata dal generale Mokhtar, invaghitosi di lei, ripercorre le dolorose stazioni della lotta pashmerga e nulla le verrà risparmiato, mentre la sua oppressiva famiglia benestante la contrasta. Sullo sfondo d’una brutalità assoluta, sfila un docudrama che mescola elementi da commedia amorosa e accuratezza storica, restituendo allo spettatore (ma è più un film per platea femminile) lampi di umanità tormentata e redenta. L’Orchestra di Piazza Vittorio firma la piacevole colonna sonora di questa prima coproduzione internazionale (Svizzera, Italia, Iraq) girata in Iraq dall’inizio della guerra, nel 2003 e messa in concorso al Festival di Roma.

Dedicato a chiunque preferisca stare dalla parte della vittima, anziché del carnefice, I fiori di Kirkuk presenta quelle (volute) ingenuità formali, che tanto piacciono allo spettatore anche smaliziato, ma in cerca di emozioni nette.

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