Visto quello che si pubblica c'è da capire chi non legge

A «Più libri più liberi», fiera della piccola e media editoria, l'Aie presenterà i suoi dati. C'è crisi ma si fa finta di niente

Visto quello che si pubblica c'è da capire chi non legge

Qui da noi tutti se la cantano e se la suonano e già che ci sono si applaudono, perfino l'editoria: siamo il Paese occidentale che legge di meno ma secondo l'Associazione Italiana Editori, per esempio, tutto sommato le cose vanno bene. Nonostante si vendano due milioni e passa di libri in meno, il mercato cresce, e come dice lo slogan della fiera della piccola e media editoria di Roma «Più libri, più liberi». Che cavolo di slogan è? Più liberi di cosa? Quando mai la quantità equivale alla qualità, addirittura alla libertà?

In ogni caso basta guardare il programma della suddetta fiera, che se fosse intelligente dovrebbe avere poco di che essere fiera: sembra il palinsesto del dipartimento scuola educazione degli anni Settanta. Storie di immigrati a non finire e in ogni salsa, il solito magistrato che scrive il libro sulla giustizia, l'altro solito ex magistrato che scrive thriller, di nuovo i migranti ma «i migranti bambini», reading di poesia che si chiamano «migrazioni» (e come sennò?), la democrazia in pericolo e lezioni sulla democrazia, le banche corrotte, celebrazioni di Dario Fo, la mafia di qua e la mafia di là, Marco Travaglio che presenta l'ultimo libro, c'è perfino un incontro per «scoprire il Kossovo». In effetti nel Kossovo se ne vedranno di migliori, non ho dubbi.

D'altra parte stiamo parlando di un mercato librario e di uno spazio culturale occupato da massimo cinquanta persone, sempre le stesse, carrieristi e presenzialisti, la maggior parte provenienti dal mondo della televisione e del giornalismo, tutti rigorosamente schierati a sinistra per vendere di più. Non c'è politico che non si presenti in televisione con un libro appena pubblicato dove dirà le stesse cose che dice dalla mattina alla sera a Omnibus, a Otto e mezzo, a Piazza Pulita, a Porta a Porta, non c'è trasmissione che non ospiti il conduttore di un'altra trasmissione al quale presentare il suo libro nella sua stessa trasmissione pare brutto, tanto è tutto un do ut des, fai un favore e te lo ricambiano. Dove sono tutti qualcosa e scrittori, un «e scrittore» non si nega a nessuno, neppure a un calciatore, a un mafioso, a una mignotta che scrive le sue memorie. Dove la trasmissione che fa vendere più libri è il salottino radical chic Che tempo che fa di Fabio Fazio, e che tempo volete che faccia, sempre la stessa calma piatta (mentre il servizio pubblico ha ridotto a un'ora settimanale il Caffè letterario di Rai uno, in effetti era troppo libero). Se oggi fosse vivo Leopardi non so da chi potrebbe essere ospitato, magari dalla Gruber che gli chiederebbe se l'ermo colle si riferiva al Presidente della Repubblica.

Tutti scrivono le stesse cose, pensano le stesse cose, e consideriamo che abbiamo ancora buchi clamorosi di traduzioni di stranieri passati e presenti, e per pubblicare un libro non allineato, originale, devi andare a cercare un piccolo editore coraggioso che lo pubblicherà anche se nessuno lo vedrà, per questo è coraggioso. La critica? Un tempo era il bilanciamento tra il mercato e la cultura, un editore pubblicava per avere successo di pubblico ma anche per farsi dire bravo dal tal critico, e le due cose raramente erano allineate. Oggi la critica è scomparsa, quello che resta è una protesi spocchiosa e spompata degli uffici stampa editoriali: dovremmo far ripartire i critici dai formalisti russi almeno per metterli in grado di distinguere un'opera da una pera.

E delle grandi polemiche culturali di quest'anno? Vogliamo dire qualcosa? Una sopra tutte: gli intellettuali divisi sul Salone del libro, che dovesse restare a Torino o spostarsi a Milano, con la soluzione di farne due, tanto se non è zuppa è pan bagnato, se non è Gramellini è Carofiglio. Con decine di fiere dell'editoria l'una la fotocopia in brutto dell'altra, mercati delle vacche grandi e piccoli, una noia mortale. È un'editoria, la nostra, senza più alcun profilo culturale, che esporta all'estero ciò che vende qui, per cui degli ultimi vent'anni abbiamo Fabio Volo o Melissa P. tradotti in centinaia di Paesi e Alberto Arbasino o Aldo Busi che conosciamo solo noi, quando li conosciamo, perché non muovono più una copia da secoli e quindi se un americano pensa che la letteratura italiana sia tutta qui non è colpa sua, è colpa nostra, o meglio degli editori.

Oppure d'accordo, se leggiamo poco e male sarà perché siamo popolo

di ignoranti, sarà colpa della mancata Controriforma, delle scuole, della politica, di internet, di quello che volete, ma, cari editori, c'è poco da dire più libri più liberi. Se questi sono i libri, più libri più scemi.

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