Cultura e Spettacoli

"La vita davanti a sé" ha il volto di Sophia Loren

L'attrice è la protagonista del film tratto dal romanzo di Romain Gary, che andrà in onda su Netflix

"La vita davanti a sé" ha il volto di Sophia Loren

Vecchia e puttana. E con un cuore così grande da spingerla su e giù per le scale della sua pensione, al sesto piano, ad accudire i bambini «nati di traverso», figli delle prostitute di Belleville, di tutte le razze e di tutte le religioni, che lei ama come fossero suoi, proteggendoli dalla strada e dal mondo. Perché Madame Rosa di sofferenza se ne intende: ebrea, è sopravvissuta ad Auschwitz. Soltanto Sophia Loren, leggenda vivente del cinema italiano e internazionale, poteva calarsi con la sua autorevolezza scenica nel ruolo dell'anziana ex-meretrice marcata dalla Shoah, descritta da Romain Gary nel romanzo La vita davanti a sé (Neri Pozza), premio Goncourt nel 1975, già adattato al cinema nel 1977 da Moshé Mizrahi, con Simone Signoret nella parte della protagonista.

«Tanta roba», si dice adesso per significare l'accumulo di vibrazioni in un contesto solo. Intanto, il premio Oscar Sophia il 13 novembre torna sullo schermo con Netflix, colosso dello streaming cui mancava una star di tale grandezza: dieci anni dopo Nine di Rob Marshall, l'attrice puteolana si rimette davanti alla cinepresa, diretta per la terza volta dal figlio Edoardo, quel «Dodò», che nei Sessanta del secolo scorso riempiva le cronache rosa, lui bambino su un cavallo a dondolo regalato dal padre produttore, Carlo Ponti. E quante difficoltà per avere quel figlio, tra cure e ricoveri in Svizzera. «Mi conosce molto bene. Conosce ogni angolo del mio viso, del mio cuore, della mia anima. Non passa all'inquadratura successiva, se non ha ripreso la mia verità più profonda», dice la Loren, a proposito del figlio regista che l'ha vista lavorare anche dieci ore al giorno, nonostante gli 86 anni portati con fierezza. E che l'ha già diretta in Cuori estranei (2002) e in un adattamento da La voce umana di Jean Cocteau, nel 2014. Nella fiction, sceneggiata da Ugo Chiti con Ponti, la Belleville dell'immediato dopoguerra diventa Bari nel XXI secolo, con il suo porto e l'affascinante Città Vecchia sullo sfondo. Una città che è porta d'ingresso verso l'Europa, per i migranti dell'Africa e del Vicino oriente. E poi c'è Mohamed, detto Momo (Ibrahima Guye), che nel libro di Gary è un ragazzino algerino e qui, per omaggiare l'attualità, diventa un immigrato senegalese, pronto a derubare Madame Rosa e a profumarsi di «Ripolin», come lei, ma anche a legarsi di amore filiale all'anziana maîtresse.

Il romanzo di Gary, personaggio da cinema di suo amante di Jean Seberg, icona della Nouvelle Vague ora sullo schermo; decorato con Legion d'onore, gaullista, Console di Francia e mandarino delle lettere francesi, fino al suo suicidio - vendette milioni di copie, al suo apparire, nel 1974 (pubblicava Gras-Colin), con la firma di Émile Ajar, pseudonimo come una seconda pelle per l'autore. Il quale, perseguitato dalla nomea di «gaulliste démodé», quando pubblicò Claire de femme col suo proprio nome, venne accusato di «ajerismo», ossia di voler imitare Ajar, null'altro che suo nom de plume. «L'abitudine di essere solo se stessi ci priva del resto del mondo», affermava Gary, la cui avventura resta senza precedenti: egli voleva soltanto obbligare l'Académie Goncourt a entrare nell'illegalità. Morto suicida (come Jean Seberg) il 2 dicembre 1980, un colpo di pistola a regolare i conti con la vita e con l'arte, lo scrittore lituano non aveva mai conosciuto suo padre, ma era convinto d'essere figlio di Ivan Mosjoukine, star del cinema muto russo.

Prima di togliersi la vita, Gary rivelò la verità su Ajar, nel manoscritto Vie et mort d'Émile Ajar, un vero calcio in culo alla Tout-Paris letteraria... Con così tanti elementi drammatici, potevano Sophia ed Edoardo resistere al fascino di una narrazione tanto densa? «La storia è bellissima, ma per fare un film ci vogliono molti soldi e produttori che si appassionino al romanzo. Allora, ho detto a Edoardo: Che facciamo? Ci buttiamo?», spiega Sophia, che nel film apparirà ingrigita e appesantita, com'era Simone Signoret ai tempi in cui vinse il César come Miglior attrice, mentre La vie devant soi prendeva l'Oscar come Miglior film straniero. Bella sfida, per la Loren che incarna una «pasionaria» a fine carriera dei nostri tempi, che per non morire sola si dedica alle vite dei bambini emigrati. Il soggetto si presta, magari, a qualche strumentalizzazione, anche se la mescolanza di culture e religioni diverse era già contenuta nel testo di Romain Gary.

Di fatto, il film è incentrato sull'amore universale e Sophia non poteva resistere.

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