Cultura e Spettacoli

Una vita come Steve McQueen? Anche no...

Un docufilm esalta il pilota che "girò" a Le Mans, ma ridimensiona l'uomo

Una vita come Steve McQueen? Anche no...

Benny Casadei LucchiAndavano lasciati in pace. Lui e lei. Lui con gli occhi color tutti i cieli del mondo e lei la corsa raccontata dal suo film. Lui Steve McQueen e lei Le Mans, la pellicola figlia della sua passione e dei suoi errori. Un flop al botteghino diventato icona del motorismo sportivo a tutti i livelli. Trentacinque anni dopo la sua morte, quaranticinque anni dopo questo suo film, il più sfortunato e il più celebre, entrambi andavano protetti. Invece un mix esplosivo e distorsivo fatto di nostalgia e business ha spinto qualcuno a scoperchiare e guardare dentro il pentolone degli ingredienti che avevano scodellato una ricetta magica e segreta che andava mantenuta tale e al massimo solo sfiorata come nella canzone di Vasco.Invece no. Invece eccoci qui con Steve McQueen, una vita spericolata... ma anche no. Perché è soprattutto l'attore più cool della storia del cinema a uscire ridimensionato dal docufilm presentato lo scorso maggio a Cannes e al Biografilm di Bologna e ieri grazie a Tag Heuer proiettato in anteprima al cinema Colosseo di Milano. La pellicola, che sarà nei cinema dal 9 novembre con ben altro titolo, Steve McQueen, una vita spericolata (meglio quello originale The Man&Le Mans) è un gran documentario però vivamente sconsigliato a chi voglia cullarsi nel ricordo del mito dell'attore. E vivamente consigliato a chiunque desideri sentirsi meno imperfetto.Perché il lavoro di John McKenna e Gabriel Clarke, non nuovi a opere del genere, traccia un preciso ritratto dell'uomo McQueen e non del mito. Un uomo con molti limiti e vinto dall'ossessione di rendere nel modo più reale possibile le corse e la propria passione per la velocità. Un'ossessione da cui uscirà devastato nel morale, negli affetti, nelle finanze, nel fisico. Prima di Le Mans, girato nell'estate del '70, c'è infatti un McQueen che inanella solo successi al cinema e soddisfazioni in pista. Giunge persino secondo alla 12 Ore di Sebring in coppia con Peter Revson e battuto solo all'ultimo dalla Ferrari di un signore di nome Mario Andretti. Dopo Le Mans l'attore più cool sarà invece un uomo senza più amici, senza una famiglia, «in quei mesi cambiò tutto» ricorda l'ex moglie Neile Adams. Un McQueen che, svuotato, non correrà più.Commovente, ma anche crudele la scelta dei registi per raccordare i filmati d'epoca e le testimonianze dei molti piloti che presero parte alle riprese: portare 35 anni dopo a Le Mans, Chad McQueen, il figlio di Steve, per fargli rivivere quei mesi e diventare al tempo stesso voce narrante. Chad che all'epoca aveva 10 anni e che oggi pare averne 80, malconcio com'è. E anche questo sembra un lascito di quella pellicola appassionata e sfortunata. Perché il ragazzino di allora passò tre mesi al seguito di papà e si nutrì, innamorandosene, di corse e bolidi. Piccolo, non aveva scampo: mancava un copione, i registi cambiavano, papà litigava con tutti, ma appena s'accendevano i motori tutto era dannatamente vero. Per una ripresa ripetuta due volte un pilota finì amputato all'ospedale e non venne neppure pagato. Anche questo era McQueen. Inevitabile però che Chad s'appassionasse e diventasse attore e soprattutto pilota. Un ex pilota che oggi ciondola e racconta di un papà mito mentre non riesce a voltarsi in favore di cinepresa perché ha 16 chiodi nel collo e una barra nella schiena. Devastato e sopravvissuto a un incidente a Daytona. Per colpa di Le Mans.

Per colpa di papà.

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