Ha il sorriso tale quale suo padre, e questo si sa. È un pianista compositore, e ormai è noto. Ma che Paolo Jannacci fosse completamente trasversale, un autentico musicista onnivoro si scopre passo dopo passo. Tanto per dire, in questo momento lui è sul palco di uno dei tour più acclamati della stagione, quello di Fedez e J-Ax, ma pubblica anche un disco di jazz istintuale e vorticoso. Si intitola non a caso Hard playing, lo ha registrato in poco più di un giorno a casa sua e ne parla oggi nell'alloggio dov'è nato suo padre, nella Milano più viscerale e sincera. Sette brani più due cover, una vampata di energia che vale l'ascolto (anzi, più di uno).
Però, caro Paolo Jannacci, un jazz così libero potrebbe far storcere il naso ai puristi.
«I puristi in fondo generano solo sterilità. Non credo più ci siano confini, i generi musicali si sono estinti e sopravvivono soltanto i canoni».
La sua idea di jazz?
«In sostanza è quella di tenere una base fissa e passare la palla ai musicisti che suonano con te».
Perché quelli che suonano con lei sono «3 + 1»?
«Perché con Stefano Bagnoli alla batteria e Marco Ricci al contrabbasso collaboro da vent'anni e per uno che, come me, ne ha 44, vent'anni sono una vita. Un periodo così lungo si celebra con una serata speciale oppure con un album. Abbiamo scelto l'album. E poi abbiamo pensato di fare un tributo al grandissimo Oscar Peterson che aveva un trio con uno special guest quasi fisso: il nostro «+1» è Daniele Moretto alla tromba e al flicorno».
E qual era l'obiettivo?
«Sperimentare».
Traduca il concetto.
«Per capirci, una ballata può essere strutturata in tanti modi. In questo disco ce n'è una che inizia con Stefano che stropiccia la plastica, poi ci sono io che suono le spazzole sulle corde, insomma c'è voglia di non rimanere fossilizzati sullo stesso sentiero».
Difatti il disco sprizza energia da ogni nota.
«Senza fare paragoni, chiunque ascolti Miles Davis o John Coltrane magari non capisce perfettamente tutta la tessitura musicale, ma ne percepisce la forza inaudita».
Hard playing esce mentre lei è nel tour pop rap dell'anno.
«Dopotutto il momento in cui mi sento più libero è quando suono. Conosco Ax da tanto tempo, ha gli occhi buoni e mi piacciono le persone con gli occhi buoni. In più, ha una capacità registica fuori dal comune».
E Fedez?
«Avevo ascoltato la sua musica ma non lo conoscevo di persona. Mi sono accorto che affronta il palcoscenico con un relax, una naturalezza invidiabile anche a musicisti molto più esperti e navigati di lui».
Cosa direbbe suo padre a vederla sul palco con loro?
«Si divertirebbe come un matto».
E lei?
«Ax e Fedez hanno costruito uno show dove contano tantissimo gli equilibri e gli spazi espressivi. Loro sono bravi a interagire e a non pestare i piedi ai rispettivi repertori. Poi scherziamo molto. Mi ostentano come fossi il Rolex tra i comunisti (in riferimento al titolo del loro disco insieme - ndr) Tra un po' vedrete che mi metto pure a torso nudo. Ci divertiamo, insomma».
Hard playing esce con il dvd In concerto con Enzo, che è uno spettacolo permanente dedicato al padre e alle sue canzoni.
«La scaletta è quasi obbligata con brani come L'Armando, El portava i scarp del tennis, Vengo anch'io no tu no e Sfiorisci bel fiore. Ma ho voluto aggiungere anche un medley con Quelli che, E la vita, la vita, Ci vuole orecchio».
In più c'è anche Desolato.
«Con la partecipazione di J-Ax».
Un tributo al genio di suo padre. Non crede che sia un po' trascurato?
«Non voglio creare Fondazioni per tutelarne la memoria musicale. Su questo tipo di cose, io sono molto critico: un artista viene ascoltato solo se la gente ha voglia di ascoltarlo. Però mi accorgo che anche molti giovani hanno voglia di sentire le sue canzoni».
Ora al Festival di Sanremo c'è un premio intestato a lui.
«E ne sono molto orgoglioso».
C'è un erede di Enzo Jannacci?
«Non ne vedo in giro, a parte me, ovviamente». (sorride - ndr)
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