Cultura e Spettacoli

«Voglio essere teatrale Cantare non mi basta più»

Il rapper che ha sfondato le barriere del genere parla del disco «Dna»: «Mi rappresenta in pieno»

«Voglio essere teatrale Cantare non mi basta più»

Eppure non è solo look. Anche scorrendo il web, Ghali viene citato più per la ricercatezza del guardaroba che per le canzoni, più per come era vestito a quel concerto o quell'evento che per cosa in realtà canta. E invece è uno dei pochissimi (t)rapper che abbia sfondato le microbarriere del genere e, anche con il nuovo disco Dna, sa andare oltre i luoghi comuni. Ghali Amdouni, classe 1993, è nato a Milano da padre tunisino che ha trascorso molto tempo in carcere mentre il figlio cresceva nella complicata Baggio. Insomma una situazione borderline che lo ha trasformato in uno dei golden boy della musica italiana.

Ma perché ha intitolato il disco Dna?

«Al ritorno a Milano dopo tanti viaggi, ho sfruttato le mie esperienze per creare il mio nuovo ritratto. Dna mi rappresenta oggi come non è mai successo prima».

Qual è la ragione sociale di questo disco?

«La voglia di cantare, la ricerca. E ci sono dei sassolini che mi sono tolto dalle scarpe».

Ad esempio in Turbococco canta «tu facevi tanto il bullo ora dove sei?».

«I bulli mi hanno trasmesso sempre un grande senso di vuoto. Da piccolo ero amico dei bulli e dei bullizzati ma ho sempre trovato abbastanza patetico prendere in giro gli altri. È un modo per non guardarsi allo specchio».

Spesso sullo specchio del rap si riflettono testi oltraggiosi e sessisti. Se ne è parlato anche a Sanremo con Junior Cally.

«A me sembra assurdo censurare l'arte in generale. Tanti dicono che il rap inciti a comportamenti sessisti, violenti oppure omofobi. Io ho trascorso l'infanzia a giocare a un gioco della PlayStation nel quale la mission era rubare auto e sparare, ma mai mi sarei immaginato di farlo. Il linguaggio va letto all'interno di un contesto o di una precisa scena».

Però spesso gli ascoltatori sono giovanissimi, spesso addirittura bambini.

«Infatti la mia musica piace anche ai bambini e questo mi fa essere particolarmente attento ai messaggi che trasmetto per non diventare portatore di messaggi negativi».

Al Festival si è presentato facendo rotolare una sua controfigura dalla scala più famosa della tv. Una sorta di rottura traumatica della liturgia sanremese.

«Avevo ansia prima di andare in scena, però la reazione è stata mega positiva e la mia intenzione è di portare questo format anche nei concerti dell'8, 9 e 10 maggio al Fabrique di Milano. Questa chiave teatrale è il fil rouge che unirà i concerti».

Quale fil rouge?

«Voglio ampliare i brani, non cantare soltanto una canzone ma una vera e propria esperienza a 360 gradi».

A proposito, quali sono i suoi maestri?

Beh, dopo che ho visto Stromae al Forum di Milano ho pensato: Mamma mia, questo sì che è un live. Ma l'idolo assoluto è Michael Jackson, l'artista capace di unire canto, ballo ed estetica come nessuno prima. Da bambino lo ascoltavo in modo quasi ossessivo».

Ghali si veste in modo molto ricercato. Perciò per qualcuno è gay.

«Sei gay non può essere un insulto. A queste critiche ho risposto anche sui social».

Cara Italia è il brano che l'ha fatta conoscere e il verso «Quando mi dicon 'va a casa! rispondo sono già qua» ha creato scompiglio politico.

«Spesso mi hanno reso un'icona anche quando non avrei voluto. Non ho ideali politici, mi fermo un passo prima su alcuni pensieri che riguardano etica e civiltà.

Se sono un fenomeno politico, non è certo mia intenzione».

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