"Voler sapere tutto è ipocrita. Per ignorare serve coraggio"

In «Berta Isla» l'autore spagnolo racconta il non detto che tiene unita una coppia. «È un fragile equilibrio...»

"Voler sapere tutto è ipocrita. Per ignorare serve coraggio"

È un falso romanzo di spionaggio, che non ha una trama da spy story ma contiene segreti. Ha come titolo il nome della protagonista, che non è Penelope ma la voce narrante di un romanzo sull'attesa. Ed è una storia, letterariamente cristallina, del rapporto più ambiguo e misterioso che conosca la Natura. Quello fra un uomo e una donna. Lui è Tomàs, il marito, suo malgrado agente segreto, che non può rivelare il suo presente. Lei è Berta, la moglie, suo malgrado amante misteriosa, che non può rivelare il suo passato. La loro storia - dove sottotraccia si suggerisce che «vivere nella certezza assoluta è noioso, e condanna a un'esistenza sola», ma «anche il sospetto perenne è intollerabile» - è Berta Isla (Einaudi, pagg. 480, euro 22), il nuovo romanzo dello spagnolo Javier Marías, protagonista assoluto del Salone del libro (oggi, ore 16, in sala Azzurra). «È la storia di una relazione che si regge in fragile equilibrio sul segreto».

Le persone ingannano se stesse per continuare a vivere. È così?

«È anche così. Se c'è una cosa che percorre molti dei miei libri, una cosa che da sempre mi inquieta, è che nulla si può conoscere con certezza, neppure noi stessi. Sì, io posso dire: Mi chiamo Javier Marías, sono nato a Madrid nel 1951, sono nipote da parte di madre del regista Jesús Franco e figlio del filosofo Julián Marias...».

... discepolo prediletto di Ortega y Gasset, sì: infatti è tutto vero.

«Ma cosa so dei miei genitori, se non ciò che mi hanno raccontato? Cosa so di loro prima che fossero mio padre e mia madre? Perché si sono sposati? Capisce che dentro l'apparente verità si aprono grandi spazi per il mistero».

Gli spazi in cui si insinua la letteratura?

«La gente crede di sapere tutto su se stessa e sulle persone che ha intorno. Invece abbiamo solo delle versioni. Noi abbiamo la nostra. Ma ne esistono mille altre. Delle quali non si può dare un giudizio assoluto. Ma sulle quali si può scrivere. Tomás si dedica a non essere ciò che è. E Isla non vuole sapere tutto ciò che dovrebbe».

Meglio non conoscere la verità?

«A volte sì. C'è una tendenza assurda, e un po' ipocrita, nella società contemporanea. Quella di voler sapere e conoscere tutto. La trasparenza... la trasparenza! Ma è giusto sapere tutto ciò che fa lo Stato per difenderci? I servizi, o sono segreti, o non sono servizi che ci proteggono. Perché pretendere che tutto sia chiaro, manifesto, rivelato?».

Vale anche per il singolo individuo?

«Soprattutto. Il segreto ci può proteggere. Quando hai un dubbio, l'istinto è quello di voler sapere. Invece a volte è meglio avere il coraggio, perché di coraggio si tratta, di non sapere qualcosa, perché le conseguenze sarebbero peggiori».

E nella relazione uomo-donna?

«La stessa cosa. Si devono preservare degli spazi di privatezza, di non detto. Nei pensieri, nei giudizi, nei desideri... Possiamo e dobbiamo avere dei pensieri oscuri».

E nella società?

«Ancora di più: in una società così esibizionista e voyeuristica, in cui tutti vogliono sapere tutto di tutti, mentire o stare in silenzio è una difesa».

Anche in letteratura non si deve raccontare tutto?

«Il mio romanzo parla di questo. Della menzogna e del segreto come forma di protezione. Vale per lui, Tomás, e vale per lei, Isla».

Dietro la storia di Tomás che non è Ulisse, e Isla, che è una Penelope forzata, c'è un archetipo della letteratura.

«C'è un uomo che se ne va, come se ne sono sempre andati gli uomini, o in guerra o per mare, che poi però ritorna. E non si sa più chi sia. C'è Il colonello Chabert di Balzac. C'è La mujer de Martin Guerre di Janet Lewis. C'è una storia di dubbi, di segreti e di ambiguità, vecchia di millenni, che non ha mai smesso di affascinarmi».

Lei, ogni volta che finisce un romanzo dice che smette di scrivere. Che sarà l'ultimo libro...

«Appena finisco di raccontare una storia, non riesco a immaginare di scrivere altro, penso di non avere più risorse. Non sono come tanti miei amici scrittori ai quali le storie bussano continuamente alla testa».

Però continua a scrivere. Così tanto e così bene che Lei da anni è candidato al Nobel. Cosa pensa del fatto che sia stato congelato quest'anno?

«Che io sia candidato al Nobel lo

dicono solo i bookmakers. E gli inglesi sono pazzi... Sul fatto che quest'anno salti, invece, non so cosa dire. Strano. Molto strano. E poi l'anno prossimo ne daranno due? Sembrerà un ex aequo. Ripeto. Strano, molto strano».

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