Cultura e Spettacoli

Von Schirach, una gioventù addestrata in nome di Hitler

Era colto, ricco e mezzo americano. Ma il leader della "Jugend" dedicò la vita all'adorato Führer

Von Schirach, una gioventù addestrata in nome di Hitler

A guardarlo nelle foto ufficiali e nei filmati d'epoca, Baldur von Schirach, l'uomo che avrebbe creato e guidato la Hitler-Jugend (Gioventù hitleriana), non sembra corrispondere al modello del giovane nazista che Hitler voleva fosse «agile e forte, svelto come un levriero, tenace come il cuoio e duro come l'acciaio Krupp». Quei documenti, anche quelli dove lo si vede in divisa, ci presentano l'immagine di un uomo elegante, dall'aspetto aristocratico o alto borghese, curato nel vestire, dallo sguardo intenso ma non fanatico e dai lineamenti non grossolani come quelli di altri personaggi del cerchio magico che vivevano all'ombra del Führer. Eppure, Baldur von Schirach credette in Hitler come recita il titolo della sua autobiografia (Ho creduto in Hitler, Castelvecchi, pagg. 336, euro 17,50) e ne divenne uno stretto e importante collaboratore quanto meno per il fatto che sarebbe riuscito a forgiare le idee di centinaia di migliaia di giovani inquadrati nella sua Hitler-Jugend.

Il curatore della edizione italiana del memoriale di von Schirach, Gianmarco Pondrano Altavilla cui va il merito non soltanto di avere tradotto questo documento importante per capire dall'interno il nazionalsocialismo e la capacità di fascinazione di Hitler, ma anche di averlo presentato con uno scrupoloso apparato critico scrive, in proposito, che «tanto dal punto di vista fisico che da quello morale e culturale il Reichsjugendführer appariva a molti come un corpo estraneo nell'alveo brutale e ferino del nazionalsocialismo».

In effetti, von Schirach era un tedesco sui generis. Nelle sue vene circolava sangue americano: il bisnonno, emigrato nel nuovo continente, aveva persino preso parte alla guerra di secessione e la madre apparteneva a una delle più antiche famiglie di Filadelfia, mentre il padre era rimasto cittadino statunitense fino al suo ingresso nell'armata prussiana. La famiglia, dunque, stabilitasi prima a Berlino e poi a Weimar, apparteneva alla buona borghesia e il giovane von Schirach trascorse gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza mentre in Germania maturavano eventi decisivi, dalla sconfitta alla fuga del Kaiser in Olanda, dalla fondazione del partito comunista tedesco all'assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht e via dicendo. Il tutto in un clima nel quale pulsioni rivoluzionarie e risentimenti nazionalistici si mescolavano in una miscela destabilizzante e potenzialmente esplosiva.

Quand'ebbe occasione di vederlo nel marzo 1925, l'allora diciottenne von Schirach fu stregato da Hitler e dalla sua oratoria. Il futuro Führer era giunto a Weimar per parlare a un pubblico forse più incuriosito dall'uomo che aveva tentato un colpo di stato stroncato in sedici ore che non ansioso di condividerne le idee. Vestito con un completo blu e cravatta nera, i capelli scuri pettinati all'indietro, Hitler parlò del Trattato di Versailles e della sua iniquità con «una voce grave e rauca, vibrante come un violoncello». Poi, von Schirach lo conobbe di persona, fu affascinato dalla lettura del Mein Kampf, si iscrisse al Partito nazionalsocialista e divenne ben presto guida degli studenti. Queste memorie offrono una chiave per capire come e perché Hitler abbia potuto far colpo su un giovane molto dotato intellettualmente, poliglotta, di formazione umanistica e appassionato di letteratura e di musica. E ciò anche se, troppo impegnato con la politica, egli non riuscì a completare gli studi: cosa che finì per influire sulla sua personalità al punto da lasciare l'impressione, come ha osservato Joachim Fest, «dell'eterno studente, immaturo in senso buono e cattivo», di un «idealista, sentimentale e affettato», di «un giovane viziato di buona famiglia, che si sforzava di copiare le maniere rozze e brusche del cameratismo dei giovani».

Una spiegazione del fascino del nazionalsocialismo presso i giovani e i meno giovani tedeschi stava nel carattere di religione secolare che assunse fin dalle origini. Nel memoriale von Schirach racconta la cerimonia inaugurale, luglio 1926, del secondo Congresso nazionale del partito: un vero e proprio rito. Oltre cinquecento portabandiera marciarono posizionandosi dietro quattro stendardi quadrati con la croce uncinata e sormontati da aquile argentate. Hitler benedisse bandiere e stendardi toccandoli con la «bandiera del sangue», il drappo portato alla testa del corteo del fallito Putsch del 1923. Il commento di von Schirach è indicativo: «Per noi giovani, quello era un atto sacro. In momenti simili Hitler ci sembrava più di un semplice politico». La dimensione «sacrale» di tali cerimonie che trasformavano i capi in sacerdoti officianti e i militanti in fedeli di una religione laica, finiva per esaltare gli istinti rivoluzionari e patriottici facendo persino passare in secondo piano le invettive antisemite già presenti in quelle manifestazioni: «Il nazionalsocialismo voleva dire per me Hitler, lo spirito cameratesco e la comunione di idee, il superamento delle classi sociali, della divisione tra ricchi e poveri».

L'identificazione di Hitler con il sommo sacerdote di una religione secolare e, al tempo stesso, la sua immagine trasfigurata come incarnazione dell'eroe inviato dal destino a riscattare l'onore della Germania umiliata, così come la sua particolare oratoria, contribuiscono a spiegarne il fascino perverso. Anche se, dal memoriale di von Schirach, la natura e la forza trascinatrice di questa capacità di fascinazione rimangono tuttora, per molti versi, misteriose e inspiegabili soprattutto nel caso di personalità con cultura e sensibilità artistiche.

L'infatuazione per Hitler fu tanto forte che quando nel 1928, recatosi negli Stati Uniti con la madre in visita ai parenti americani, ebbe da uno zio, ricchissimo banchiere di Manhattan, l'invito a rimanere con lui per essere avviato a una sicura carriera finanziaria e politica, von Schirach rifiutò per tornare al fianco di Hitler e portare avanti il progetto di irreggimentazione della gioventù tedesca. La carriera di von Schirach fu, infatti, quasi esclusivamente volta a plasmare culturalmente e ideologicamente i giovani organizzandoli in una struttura paramilitare, compatta e disciplinata al servizio del regime. Una struttura che il regime avrebbe utilizzato con cinismo e determinazione.

Al processo di Norimberga, von Schirach fu condannato a vent'anni di reclusione. Nella sua deposizione dichiarò che lo sterminio degli ebrei ordinato da Hitler era stato «la strage più grande e satanica della storia mondiale», ma precisò che la gioventù tedesca era «innocente». Aggiunse: «Io ho educato la gioventù a credere in Hitler, l'uomo che consideravo inviolabile e che è stato invece l'assassino di milioni di esseri umani. Io ho creduto in Hitler. Sono io l'unico colpevole; la gioventù tedesca è innocente, perché essa è cresciuta in uno Stato antisemita in cui la politica della razza era legge». Ma il riconoscimento che tale politica era stata «un crimine» e si era rivelata «fatale per cinque milioni di ebrei e per tutti i tedeschi» veniva bilanciato da un'altra affermazione: «Io non ho tradito Hitler, ho tenuto fede al mio giuramento verso di lui come guida della gioventù e come funzionario. Sono stato un nazionalsocialista convinto fin da ragazzo e perciò anche antisemita».

Le memorie di von Schirach hanno, certamente, interesse per la ricostruzione della biografia dell'autore e per certi ritratti psicologici e particolari aneddotici relativi a tante personalità del mondo nazionalsocialista. Ma non solo. Esse, infatti, fanno riflettere sulla natura perversa di quel regime e di quella ideologia e spiegano come e perché i suoi crimini abbiano finito per essere percepiti come «colpa collettiva» di un intero popolo.

Ed è in questa chiave, oltre che come documento storico, che esse debbono essere lette.

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