Cultura e Spettacoli

Yasmina Reza racconta il peso della Shoah con la leggerezza dell'umorismo ebraico

In "Serge" le crisi della famiglia Popper aiutano a riflettere sulla vera memoria della tragedia e sulle idiosincrasie del presente.

Yasmina Reza racconta il peso della Shoah con la leggerezza dell'umorismo ebraico

Dissacrante e corrosivo. L'ultimo romanzo di Yasmina Reza, Serge, edito da Adelphi, affronta, con ironia e amarezza, uno dei grandi tabù del Novecento, la Shoah, e lo fa alla sua maniera.

Reza figlia di un ingegnere iraniano e di una violinista ungherese di Budapest, ambedue di origine ebraica, è considerata uno dei maggiori drammaturghi contemporanei. Roman Polanski ha diretto nel 2011 la versione cinematografica, dal titolo Carnage, del suo Il dio del massacro.

Al centro di Serge, con sfumature autobiografiche, c'è proprio una famiglia di origine ebraica, i Popper, e i rapporti difficili e conflittuali tra i tre fratelli. Il protagonista è lui, Serge, cialtrone e seducente, «il Primogenito» con «un sorriso in grado di esorcizzare la morte». Il narratore invece è Jean, il fratello di mezzo «il gregario, il senza personalità, quello che dice rosso quando il Primogenito dice rosso». E poi Nana la più piccola, «la Cocca di mamma e papà, la smorfiosetta, ma anche il vice nei nostri giochi di guerra». Ma non finisce qui la girandola forsennata. Ci sono pure figli, mariti ed ex amanti. Un tourbillon di personaggi.

Le loro tensioni riemergeranno tutte durante una visita ad Auschwitz, uno strano viaggio turistico, tra orde di «gente in tenuta semibalneare, canottiere, sneakers colorate, pantaloncini, tutine, abitini a fiori». Reza mette a nudo i lati comici non meno di quelli malinconici e crea dei personaggi che restano nella memoria, indimenticabili e che aiutano ad accettarci anche con le nostre contraddizioni, difetti e a volte insignificanza. Il romanzo è un misto di commedia e dramma.

Ma questi due aspetti non sono opposti, c'è una sottile connessione tra di loro come spiega la scrittrice: «Non ho mai pensato alla commedia e al dramma in modo separato. Sono due cose inestricabilmente legate, in tutto quello che ho scritto». Al centro del racconto c'è la famiglia ebraica dei Popper, con i suoi tic e tabù perché questi, come precisa Reza, «esistono ovunque. Non vedo perché la cultura ebraica dovrebbe essere risparmiata».

Altro tema che viene sfiorato è quello sull'antisemitismo di alcuni ebrei. Reza a riguardo ha le idee chiare: «Non so se siano i peggiori antisemiti. E se lo sono, forse è proprio perché non hanno tabù. Curiosamente, io la interpreto come una forma di vitalità del mondo ebraico. Nessuna chiusura in una mentalità comunitaria». E quanto alla memoria: «Il nostro mondo è ubriaco della parola memoria in generale. Non soltanto se riferita alla Shoah. Non so in che misura ci possa nuocere. Direi che più che altro è inefficace. La parola è usata male e serve più che altro a neutralizzare la storia sentendosi a posto con la coscienza».

La narrazione procede esilarante, brillante, piena di umorismo e interiorità. Ma la scrittrice sebbene lusingata non sa come spiegare il segreto della sua prosa. Serge sembra pure essere un inno alla libertà e all'autenticità delle persone. «È una scelta che ho fatto sempre - precisa Reza -. Potrei quasi dire che la regola della mia scrittura è la ricerca dell'autenticità dell'essere umano, dei suoi umori, delle sue contraddizioni. Non cerco di creare personaggi edificanti». E dal suo racconto sembrerebbe venir fuori che proprio ridere potrebbe essere un modo per scongiurare la morte. Mentre il sarcasmo non è altro che un modo per dire che la vita è solitudine e spleen? «La parola sarcasmo non mi piace molto - ribatte l'autrice - , c'è qualcosa di acido in questo termine e non vedo nulla di sarcastico nel mio sguardo. Per quanto riguarda la risata, per me è la cosa più bella. È la base del rapporto fra persone. Permette di sopravvivere. La risata spesso quella della catastrofe ci salva».

Serge che dà il titolo al libro è irrequieto. L'irrequietudine però in sé non è «né buona né cattiva. È una caratteristica dell'inquietudine, forse», precisa la scrittrice. Ma qual è la causa della tendenza all'autodistruzione come quella di cui è intriso Serge il protagonista? «Non abbiamo mai le chiavi dei perché di un personaggio. Peraltro lo stesso si può dire per la vita.

Tutte le semplificazioni, tutte le riduzioni sono sbagliate».

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