Aveva sei anni Elémire Zolla quando scrisse una poesia sulla storia di Buddha. L'autore de Lo stupore infantile dirà, poi, che tutte le verità fondamentali le intuiamo fra i tre e i quattro anni e ciò che accade dopo è o oblio o reminiscenza. Zolla non dimenticò lo stupore dell'infanzia e così con la fine della sua vita e del suo pensiero, dedicato negli ultimi anni proprio all'Oriente, si ricongiunse all'inizio in un ideale cerchio magico. Ora, però, tocca ad altri ricordare la singolarità e la signorilità dell'autore di Che cos'è la tradizione. Lo ha fatto un giovane studioso, Lorenzo Morelli, con un testo informato e rigoroso edito da historica: Elémire Zolla. Tradizione e critica sociale (pagg. 512, euro 22).
L'itinerario culturale di Zolla può essere diviso in tre periodi: il giovane Zolla che per trent'anni vive a Torino per poi trasferirsi nel 1956 a Roma dove nello stesso anno vincerà il premio Strega con Minuetto all'inferno (romanzo osteggiato con tutte le sue forze da Elio Vittorini). Il saggista Zolla che dagli anni Cinquanta alla metà dei Settanta svolge un'analisi profonda della Modernità e della società di massa. Infine, il terzo Zolla che, viaggiando dall'Africa all'America all'Asia, individua nelle culture extra-europee una via di accesso alla sapienza tradizionale o alla «filosofia perenne» che restituisca all'umano il senso del limite. Il saggio di Morelli si concentra soprattutto sul secondo Zolla mettendo in luce il valore politico del suo pensiero che «funziona» proprio come una sorta di «ragione critica della modernità» per giungere alla conclusione che, in fondo, la stessa modernità non può fare a meno della tradizione. Ecco perché non è sbagliato dire, come fa Morelli, che l'opera antimoderna di Zolla appare in realtà modernissima, sia per la capacità di comprendere le contraddizioni e gli avvilenti conformismi della società di massa, sia per lo stesso esempio della singolare figura di Zolla che seppe difendere la libertà intellettuale in un tempo in cui, per dirla con l'indimenticabile Nicola Matteucci, imperava quella «egemonia culturale marxista» alla quale tutti gli intellettuali rendevano omaggio e si iscrivevano per diritto divino.
A volte Zolla sembra estraneo alla cultura italiana.
Sulla vexata quaestio fascisti/comunisti si esprimeva così: «Da allora non ho mai avuto la presunzione di trovare in Italia qualcosa di vero, di significativo, anche perché, poi, l'ossessione comunista che seguì al fascismo era equivalente».
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