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Spie, militari e giornali: ecco l’uomo dei misteri dello scandalo Telecom

Spie, militari e giornali: ecco l’uomo dei misteri dello scandalo Telecom

Milano - In redazione aveva un soprannome chiaro come il sole: Casinini. Chiedeva soldi e prestiti, ai colleghi di scrivania e ai preti ai piani alti del gruppo San Paolo, la corazzata dell’informazione cattolica italiana. Oggi Guglielmo Sasinini sale alla ribalta dell’inchiesta Telecom, il gip Giuseppe Gennari, che già l’aveva spedito ai domiciliari nella tornata precedente, gli dedica ora, riarrestandolo, pagine e pagine e lo colloca al fianco di Giuliano Tavaroli, il dominus della Security Pirelli-Telecom.
L’inviato con la scorta
Solo dieci anni fa, questo scenario sarebbe apparso fantascientifico. Per carità, a Famiglia cristiana dove si era fatto le ossa ed era diventato inviato, tutti avevano capito che il personaggio era indivisibile dalla propria ombra. Ma non si era capito che cosa nascondesse questa sua obliquità: frequentava il Medio Oriente, gli piacevano stellette e 007, il suo non eccelso curriculum era nobilitato da quello status eccezionale: aveva la scorta, per motivi che nessuno era mai riuscito a comprendere, insomma camminava avvolto da una bruma di mistero.
Per molti, il mistero finiva laddove era cominciato: il denaro gli serviva per condurre una vita scintillante, al fianco di belle donne. Ai colleghi strappava il sorriso perché aveva la battuta pronta. Punto. Meglio non approfondire. Meglio circumnavigarlo e allontanarsi in altra direzione.
Scoop nel Golfo
Nel ’91, durante la Guerra del Golfo, si ritrovò su una delle navi italiane che incrociavano nel Mar Rosso. La sera, guardando le acque increspate, cominciò a parlare col contrammiraglio Mario Buracchia, comandante della flotta tricolore. Quello, pensando di confidarsi con l’amico, gli manifestò tutti i dubbi sulla spedizione in zona ostile. Le parole andarono in pagina, di rientro in Italia Sasinini estrasse la cassetta con la registrazione del colloquio, il contrammiraglio diede le dimissioni. Fu uno scoop, di quelli intinti nell’inchiostro del tradimento.
Qualche anno dopo, nel ’95, in una delle stagioni più tormentate di Famiglia cristiana, girò voce che avesse ricevuto un prestito più alto dei precedenti: 90 milioni tondi, giratigli da qualcuno molto in alto. Le chiacchiere, indimostrate, rimasero ad aleggiare su quel personaggio che amava le divise. Era ritenuto esperto di terrorismo e di Medio Oriente, secondo molti più accreditato che competente. Ora, che la sua agenda è entrata nel dibattito politico, Gennari scrive: «Il Sasinini si colloca in posizione di immediata e stretta collaborazione con il Tavaroli». E ancora: «Aveva assunto una connotazione assolutamente centrale, agendo sistematicamente lui stesso come suggeritore e ispiratore di iniziative investigative».
Queste azioni, lette con occhio scevro, paiono in realtà fumettoni deliranti a uso della congrega di ex carabinieri e barbefinte che operava ai vertici della Security: «Gossip, Tronchetti/Afef, punto debole». O ancora: «Monitorare tutto, non sottovalutare niente, valutare per grandi priorità, non tutto è emergenza». Più interessante la massima in simil de La Rochefoucauld riportata nell’ordinanza: «Lo spionaggio è il secondo mestiere più antico del mondo ma molto meno onesto del primo». Lui, a quanto pare, faceva del suo meglio a colpi di freccette, parentesi, numeri, indicazioni per Tavaroli, appunti fissati su agende e foglietti volanti: «Settanta miliardi dati da Berlusconi a Bossi in cambio della totale fedeltà».
Una rapina inquietante
Una vocazione che veniva da lontano? Nel ’99 l’episodio più inquietante: la convivente del giornalista viene rapinata in casa, a Milano, da due tizi che la legano a un termosifone e le infilano in bocca un foglio di carta strappato da La condanna di Aldo Moro, un libro scritto a suo tempo dall’avvocato Giannino Guiso. «Abbiamo a che fare con menti raffinatissime», lancia l’allarme Sasinini. Il senso di quell’aggressione non verrà mai decifrato. Qualche anno ancora e l’inviato ancora giovane, è nato nel 1950, chiude la carriera, mantenendo solo una rubrica su Famiglia cristiana. Dirige una rivista, non ufficiale, della polizia, ma soprattutto ha stabilito un buon rapporto con Tavaroli, dal 2001 astro nascente della Security Telecom, e poi con il suo collaboratore Emanuele Cipriani, investigatore privato fiorentino. Percepisce, per quanto si sa, 250mila euro nel 2003 e altri 160mila nel 2005. Sulla carta è esperto di questioni medio-orientali, ma i suoi report si aprono a ventaglio in tutte le direzioni. Ne compone a decine: su politici, come Roberto Formigoni e Giulio Tremonti, sull’ex vicepresidente del Csm Virginio Rognoni, su giornalisti scomodi, come Marco Travaglio e Massimo Mucchetti, sul presidente della Cei Camillo Ruini.

Insomma, è un tuttologo capace di «attenzionare», come dicono alla minispectre guidata da Tavaroli, tutto lo scibile umano. A volte quei dossier sono brodini riscaldati. A volte deliri. A volte fanno paura. Certo, devono essere costati parecchio. E come scrive il gip, Sasinini oltre alla pennna teneva fra le mani la cassa della Security.

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