Cultura e Spettacoli

Spielberg: il mio film sugli Usa in pericolo

Il regista parla della sua pellicola che esce oggi in contemporanea planetaria: «Oggi l’America scappa senza sapere chi l’attacca»

Carlo Faricciotti

da Milano

Steven Spielberg è diventato cattivo? Non proprio, non si può pretendere troppo dal Peter Pan dei registi contemporanei, ma di sicuro gli alieni de La guerra dei mondi, in uscita oggi in contemporanea planetaria (una mossa strategica utile tanto ad abbattere i costi di promozione e marketing quanto a combattere la pirateria) sono feroci conquistatori, del tutto diversi da Et o dai pacifici messaggeri in aura new age di Incontri ravvicinati del terzo tipo. «Ma quel film era del 1977 - replica lui -. Oggi non avrei mai rappresentato la scena di un uomo che lascia la sua famiglia, come faceva allora Richard Dreyfuss, piuttosto vorrei qualcuno che la proteggesse. In un certo senso La guerra dei mondi riflette la mia maturità, la mia crescita dovuta ai miei sette figli».
Ispirato al libro omonimo di Herbert George Wells (uscito nel 1898, in Italia pubblicato da Mursia) ma anche alla terrorizzante trasposizione radiofonica che ne fece Orson Welles nel 1938, La guerra dei mondi si è alimentata, tanto in fase di scrittura quanto di riprese, di un’altra esperienza traumatica: gli attentati alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. «È sicuramente un film sugli americani che scappano dalle loro vite, attaccati senza alcuna ragione: non sanno perché e chi li sta attaccando» sottolinea Spielberg. Non a caso, il personaggio di Cruise ricorda spesso quello visto tante volte nelle immagini dei soccorritori accorsi al World trade center: «L’immagine che è rimasta di più nella mia mente è quella di una persona che scappava da Manhattan verso il George Washington Bridge: un’immagine che non sono mai stato in grado di cancellare dalla mia mente». Nessuna polemica politica, spiega ancora Spielberg: «La politica incombe dietro alle paure e a qualche scena, ma volevo fare un film abbastanza suggestivo in modo che ciascuno potesse crearsi una propria opinione». Dopo Spike Lee con la sua La 25ª ora, un altro grande regista Usa ha sentito di doversi confrontare con i fantasmi di quel giorno e l’ha fatto con i suoi strumenti preferiti, quelli della fantascienza, che non è solo, al suo meglio, alabarde spaziali, navi che viaggiano alla velocità della luce e omini verdi: questi alieni sembrano fuoriuscire dalle ferite del Gound zero newyorkese.
Nel film, Cruise interpreta Ray Ferrier, un operaio portuale divorziato - personaggio peraltro assente nel libro di Wells. Il figlio adolescente Robbie (Justin Chatwin) e la figlia Rachel, ancora bambina (Dakota Fanning, praticamente in tutte le recenti pellicole Usa in cui serva una bambina bionda e occhi azzurri: da Mi chiamo Sam a Man on fire), vanno a trovarlo di rado, nei weekend. E proprio durante una di queste rare visite, poco dopo che l’ex moglie di Ray (Miranda Otto, Eowyn nel Signore degli anelli) e il suo nuovo marito sono andati via, scoppia una strana e violenta tempesta elettrica. Qualche istante più tardi, a un incrocio vicino casa sua, Ray assiste a un avvenimento spaventoso: una gigantesca macchina da guerra a tre zampe affiora dalle viscere della Terra e prima che qualcuno riesca a reagire incenerisce tutto ciò che ha intorno. È il primo attacco di una catastrofica offensiva aliena contro il nostro pianeta. Ray si impegna con tutto se stesso per salvare i figli da questo nuovo e spietato nemico e si imbarca in un viaggio attraverso le campagne devastate, nelle quali si riversa una marea di disperati fuggiaschi che tentano di sottrarsi all’esercito dei Tripodi extraterrestri.
Trattandosi di un film da più di 130 milioni di dollari di budget, abbondano gli effetti speciali (oltre 500, curati ovviamente dalla Industrial Light & Magic di Lucas) che, accompagnati da una colonna sonora adeguata (del fedelissimo John Williams), contribuiscono a creare panico nello spettatore. Le macchine da guerra degli alieni si svegliano improvvisamente e irrompono nelle strade, distruggono grattacieli, mandano in aria auto. Girato in 72 giorni tra il New Jersey e gli studios di Hollywood, La guerra dei mondi è la seconda collaborazione, anche produttiva, tra Cruise e Spielberg dopo Minority report: a sentire il primo, dopo il successo della prima pellicola «Ci siamo incontrati per discutere di altri progetti e Steven mi ha detto “Ho tre film da proporti, uno è La guerra dei mondi”. A entrambi sono brillati gli occhi e ho detto subito “Facciamo La guerra dei mondi”». Potenza di due mogul hollywoodiani.
Film iperrealistico, secondo Spielberg, nonostante gli effetti speciali, «come Incontri ravvicinati o Salvate il soldato Ryan, La guerra dei mondi è un film d’azione, d’inseguimento, ma a dimensione familiare: Ray e famiglia scappano per salvare le loro vite. È iperrealistico perché colpisce e stupisce il pubblico, spero, in profondità: sullo schermo si vedranno cose spaventose, che vanno al di là dell’immaginazione, ma riprese sempre in modo realistico». Un «horror fantascientifico - come incalza Cruise - ma anche un dramma umano che esamina fino a che punto un padre si spinga per salvare i propri figli». Tra le curiosità collaterali, il fatto che una delle attrici minori del cast, Ann Robinson, fosse presente sia nella prima versione per lo schermo del romanzo, nel 1953, sia nei tre episodi della serie tv War of the worlds (1988).

Ad attirare l’attenzione sul film, a margine delle riprese, i pettegolezzi sul fatto che Cruise, fervente adepto di Scientology, avesse voluto sul set uno stand per promuovere il movimento cui aderisce piuttosto che le sue rumorose dichiarazioni d’amore, in tv e altrove, per la sua nuova fiamma, l’attrice Katie Holmes.

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