Milano - Lo aveva detto, qualche mese fa, il presidente di Alitalia Maurizio Prato: «Per Alitalia ci vuole l’esorcista». Lo ha ripetuto ieri Jean Cyril Spinetta, presidente di Air France-Klm: «Ci vuole l’esorcista». Prato lo aveva detto in un momento drammatico, alla rottura della trattativa di Air France con i sindacati; ora la citazione di Spinetta dà ancora più enfasi allo stato disperato della compagnia, per la quale è stata avviata una terza procedura di vendita. Su questo nuovo tentativo, Spinetta precisa: «Con l’Italia non c’è stato nessun contatto» nè con il governo, nè con Alitalia nè con Intesa Sanpaolo. Della trattativa andata in fumo osserva: «Non c’è stato un ostacolo in particolare: è stato tutto veramente molto complesso».
Proprio oggi il consiglio di Alitalia si riunisce per dare a Intesa Sanpaolo il ruolo di advisor: è l’avvio del tentativo di salvataggio varato dal governo Berlusconi, che si è assunto il compito di individuare un acquirente per la quota di controllo in mano al Tesoro. Intesa Sanpaolo sarebbe già al lavoro con l’obiettivo di concretizzare un progetto. Ma ieri due figure autorevoli come Francesco Giavazzi, docente di Economia alla Bocconi, e Guido Rossi, ex presidente della Consob hanno ribadito che per l’Alitalia il fallimento sarebbe «la soluzione migliore» e che i governi, l’attuale come il precedente, «sbagliano a impedirlo».
Intanto lo scenario di settore peggiora. A ogni dollaro di aumento del barile di petrolio - è la stima della Iata, l’associazione mondiale delle compagnie aeree - i costi complessivamente sostenuti dai vettori aumentano di 1,6 miliardi di dollari. Per la terza volta la Iata è costretta a rivedere le stime del 2008, che oggi vedono perdite per il settore a quota 2,3 miliardi di dollari immaginando un prezzo medio del barile a 106,5 dollari; portando il prezzo medio della stima a 135, il costo extra sarebbe di 99 miliardi di dollari e le perdite del 2008 volerebbero a 6,1 miliardi.
Il trasporto aereo mondiale aveva appena riconquistato l’utile nel 2007, dopo sei anni ininterrotti di perdite che provenivano dal 2001, l’anno dell’11 settembre. La crisi di oggi si misura non solo con il prezzo del petrolio, più 130% nell’arco di un anno, ma anche con una generale contrazione dei consumi.
La situazione - che negli Stati Uniti ha un impatto superiore, perchè non c’è, come da noi, il beneficio del cambio - spinge le compagnie a nuovi accordi, alla ricerca di economie di scala.Proprio ieri Oneworld, l’alleanza che riunisce dieci tra le più importanti compagnie del mondo, ha annunciato i risultati 2007: 725 milioni di dollari di ricavi (più 10%), e una redditività cresciuta del 19%.
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