Spitz: «Per i russi il mio supercostume erano i baffi»

Mark Spitz. Nome e cognome bastano e avanzano per disegnare un ritratto del più grande nuotatore della storia. Il più grande nuotatore di tutti i tempi: fa impressione solamente a ripeterlo. I baffetti lo resero famoso, le medaglie d’oro immortale. Il suo record, 7 ori in una sola Olimpiade, è tuttora imbattuto: resiste da 36 anni. Passano i tempi, cambiano gli atleti, i modi di allenarsi, si studiano costumi super-tecnologici. Ma niente: nessuno ancora è riuscito a superarlo.
Invitato a Milano da Telecom per un incontro con gli studenti sul tema «Giochi di pace, mondi di guerra», ha raccontato le «sue Olimpiadi», Monaco ’72, e quelle che ci apprestiamo a vivere.
Ormai si parla di Pechino più per le proteste dei monaci tibetani e per le violazioni dei diritti umani che di sport. Che idea si è fatto a riguardo?
«La responsabilità di quanto accade in Cina non può essere attribuita agli atleti. A mio parere, tutto ciò che non fa parte dello sport dovrebbe essere lasciato fuori dai Giochi olimpici».
Nessun boicottaggio, allora?
«Assolutamente. D’altronde, in tutti questi anni, ho potuto farmi un’idea dei criteri con i quali vengono scelte le città sede dei Giochi. Principalmente ci sono tre fattori».
Quali?
«Soldi, più soldi e ancora più soldi. Tutto gira solamente intorno a questo, il resto arriva dopo. Basta pensare al potere delle televisioni: il programma delle finali del nuoto è stato totalmente stravolto in funzione delle tv statunitensi. Phelps nuoterà le sue finali al mattino perché negli Usa possano essere trasmesse in diretta di sera».
A proposito di Phelps: ad Atene, con 6 ori e 2 bronzi, andò vicinissimo al suo record. Pechino sarà la volta buona?
«Michael è eccezionale: grande atleta, grande campione e detiene numerosi record mondiali. Niente è impossibile: a Pechino gareggerà in nove differenti gare e penso che riuscirà a infrangere il mio record. Anzi, può ambire senza problemi a vincere tutte e nove le medaglie d’oro».
Un pizzico d’invidia?
«Nient’affatto. Innanzitutto perché, se il mio record verrà battuto rimarrà comunque uno dei più longevi della storia: trentasei anni non sono per niente pochi. E poi credo che ogni volta che scenda in acqua, inevitabilmente Phelps si ispiri al mio primato: questo è per me un grande onore».
Nuoto e tecnologia è un connubio ormai inscindibile: anni luce rispetto a lei che nuotava con un costumino normalissimo coi laccetti...
«E le dirò di più: quando feci uno dei miei primi record del mondo, ne indossavo addirittura due, uno sopra all’altro. Ma non è questo il punto: credo che a breve diventerà solamente un fattore psicologico».
Un polverone destinato a esaurirsi in fretta, insomma?
«Esatto. È normale che, soprattutto a questi livelli, tutti vorrebbero avere l’attrezzatura migliore, ma la differenza continuerà a farla chi indossa il costume e non il costume stesso. È come se io, utilizzando le stesse identiche mazze di Tiger Woods, diventassi forte come lui».
In più lei nuotava con i famosi baffetti...
«Già, e c’è persino una simpatica storia attorno».
Racconti.
«Alla vigilia delle Olimpiadi di Monaco ero molto indeciso sul tagliarli o meno. La sera prima dell’esordio olimpico andai in piscina per un ultimo allenamento: quella sera la vasca era riservata agli atleti della nazionale russa, che però non mi negarono una breve nuotata. Quando uscii dall’acqua tutti iniziarono a chiedermi se con quei baffi non andassi più lento».


Eravate in piena Guerra Fredda: non si sarà preso gioco di loro?
«Invece sì: dissi che, al contrario, aiutavano molto la mia respirazione perché l’acqua scivolava via e non entrava in bocca».
Non avrebbe più potuto tagliarli...
«E come avrei potuto? Un anno dopo, invece, tantissimi nuotatori russi se li erano fatti crescere...».

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