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Uno splendido «Attila» che sembra Conan

Se Johannes Brahms, in una delle sue calate italiane, volle visitare i luoghi dove viveva Verdi, si perdonerà all'umile cronista se ha voluto pellegrinare fra le campagne intorno a Sant’Agata e Busseto, dove l’ammirazione per l'Uomo Verdi trae linfa sempreviva. Con gli ultimi tepori dell’autunno il paesaggio padano assume contorni di leggenda. È la giusta atmosfera per avvicinarsi all’Evo sanguinario immaginato da Temistocle Solera (libretto) per Attila (1846) di Verdi. Opera un tempo relegata nelle galere dei melodrammi patriottici e oggi rappresentata nel Teatro di Busseto. Nel minimo spazio a disposizione lo scenografo e costumista Carlo Savi ha sapientemente richiamato lo scontro fra ordine romano e caos barbarico solo con due quinte bronzee a modo di boccascena: a sinistra i tagli metafisici alla Lucio Fontana, e a destra, le punte delle lance geometricamente disposte alla Fausto Melotti. I costumi riportavano al mondo di Conan il Barbaro, così come pensato lodevolmente dal giovane regista Pierfrancesco Maestrini. Mantelli e trucchi pesanti, teschi umani e animali, lance e scudi non hanno trascurato che gli Unni nella visione di Verdi rivivono il mondo contadino. Non siamo nei pressi del biondo Tevere, ma in riva ai fiumi Ongina e Arda. Un diaframma di tulle manteneva i contorni del racconto nella sfera favolistica, da cui uscivano i solisti nella ripetizione delle difficoltose cabalette, presentandosi alla ribalta per sfogare le agilità al limite dell’umano richieste da Verdi ai quattro coprotagonisti. Giovanni Battista Parodi (Attila), Sebastian Catana (Ezio), Susanna Branchini (Odabella), Roberto de Biasio (Foresto) non hanno lesinato né in acuti stentorei né in intenzioni bellicose, in quel clima dove soprano, tenore e baritono tramano al solo scopo di trucidare il basso, alla fine riuscendovi. A rendere tutto plausibile ha pensato la sicurezza del direttore con gli accompagnamenti leggeri, gli stacchi perentori, gli accenti pugnaci e la naturale vocazione al colore.

Se aggiungiamo che Andrea Battistoni, il maestro concertatore e direttore, ha solo ventitre anni, ecco spiegato il nostro favore. Con le dovute cautele e sperando non venga distratto dalle sirene modaiole, ecco un’autentica promessa.

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