Stava pensando seriamente al rientro nel mondo del ciclismo, dopo dieci stagioni vissute ad altissimo livello. Poi lepurazione di Strasburgo e luragano di nome Floyd Landis hanno fatto il resto. Giorgio Squinzi, uno dei capitani dindustria più apprezzati e stimati nel mondo, titolare della Mapei, colosso mondiale nella produzione di prodotti chimici per ledilizia, si è nuovamente fermato in «surplace», come nel dicembre del 2002. «Lasciai a malincuore, ma nel ciclismo io ci ho lasciato il cuore ci dice -. È un vero peccato, perché questo sport è radicato nel nostro Paese e nel mondo. Io ne sono davvero innamorato, ma dopo anni di battaglie con il governo mondiale della bicicletta ho dovuto alzare bandiera bianca. Lo denunciai nel febbraio del 96 allallora presidente Hein Verbruggen: Se non si fa qualcosa sulluso indiscriminato del doping ematico questo sport è destinato a scomparire, gli dissi. Oggi la situazione è sotto gli occhi di tutti».
Presidente, cosa si può fare? «Intanto via i codici etici: non servono. Basta applicare le regole che già sono in vigore. E poi controlli a tappeto, ogni quindici giorni: vedrà che la finiscono di fare i furbi».
Intanto, il presidente dellUnione Ciclistica Internazionale, lirlandese Pat Mc Quaid, intraprenderà «una crociata contro il doping», se la positività dello statunitense Floyd Landis al Tour venisse confermata. «Bisognerà attendere lesito delle controanalisi - ha detto McQuaid - prima di pensare alle sanzioni. Ad ogni buon conto sono furioso e disgustato».
Molto critico il numero uno del ciclismo italiano, Renato Di Rocco: «Anchio sono contro il codice etico. Sono per una linea rigorosa e intransigente che non mi pare di rilevare nella politica dellUci, in questi anni molto più impegnata a pensare ai diritti televisivi e al marketing anziché gestire situazioni spinose di sua competenza».
Sulla stessa lunghezza donda Alcide Cerato, presidente del ciclismo professionistico italiano. «Quello a cui stiamo assistendo è il totale fallimento della politica dellUci. In questi anni hanno pensato a fare gli organizzatori, anziché portare avanti una politica sportiva. Ha prevalso il gusto del business sulla gestione del movimento.
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