Milano - Date al calcio un numero dieci e vi cambierà il mondo. San Siro conosce la materia, ne ha visti tanti. Il meglio del mondo da Maradona a Platini da Rivera a Savicevic, da Suarez a Baggio. Ieri sera Lionel Messi (nella foto), uno della specie. Poi ci sono i dieci per caso. Quelli che forse sarebbe meglio che Ma arriva il momento in cui basta il fascino della maglia. San Siro si è presentato in massa per vedere il reuccio del pallone d'oro: lo ha temuto, ammirato, aspettato. Pronto all'ode al numero dieci. Che c'è stata. Ma nel frattempo San Siro ha scoperto che basta un boa per stritolare un re. Dici Boateng e ti vien da ridere. O da ridire. Anche ieri sera ha provato a rovinarsi la faccia (la fama è già rovinata), ma poi l'attimo fuggente è passato e lui l'ha acchiappato come un pescatore affamato. Vedi il Boa e per qualche momento dimentichi Messi. Eppoi il tempo passa e scopri che il Milan ha trovato l'antidoto.
Chissà, forse inibito da quella meravigliosa gigantografia di Herbert Kilpin stesa sulla curva sud. Oppure da quel cartello che diceva: «Messi non segnare», con tanto di mani in preghiera. Chissà, meglio loro della gabbia aperta del Milan. Ma che strana impressione vedere Messi vagare con l'aria dell'uomo qualunque, lui pettinato dal barbiere contro il clan delle creste. Così normale in quella orrenda maglia giallino-arancione, perfettino nel suo giocare da stella cometa di questo calcio. Mai un felice e libero rombare, sempre a freno tirato. Ci sono e non ci sono. Io sono Messi, ti dice. Sì, grazie lo sappiamo, potrebbe rispondere San Siro che tiene fiato corto appena la palla arriva dalle parti sue: una volta verso il centro, poi verso destra. Pendolo sonnacchioso, forse insoddisfatto, magari innervosito da una marcatura blanda, non un bel corpo a corpo come pensava di doversi attendere per volontà del padrone del Milan. Magari c'è rimasto male. Ma come? Mi snobbate così. Tutti a guardarlo, nessuno a soffiargli sul collo, salvo momenti disperati. Sprinta sulla fascia e la gente pensa: eccolo, è lui. Ma poi basta una scarpata qualunque, un poveretto disperato a toglier palla per farlo rannicchiare nel suo angolo di eternità. Basta un guardalinee che non decide come gli piacerebbe per farlo innervosire. E vedi la Pulce mandare a quel paese l'ometto. Come fosse un Ibra qualunque.
C'è Messi e Messi, ma quello visto alla tv diverte molto di più. Qui basta poco per ricondurlo alle sofferenze calcistiche terrene: la grinta di Ambrosini o il qualunquismo calcistico dell'improbabile Muntari, perfino le carezze di Mexes, l'unico a rifilargli un pestone all'italiana. Certo, poi ieri San Siro ci ha detto che c'è dieci e dieci, non basta guardare il numero di maglia. Sventola sempre al vento del calcio che ti conquista quello sulla maglia della Pulce: tecnica e arte. Oppure si stende sul fisicaccio del Boa quello del calcio moderno più atletico, fisicamente straripante: interpretato con devozione ma con piede ruvido. Idea da calcio da combattimento, pronto a sbucare nella giungla d'area, magari con una mano di Zapata e della fortuna.
Calcio diverso da quello godibile per l'interpretazione di El Shaarawy, l'unico a creare la vera alternativa al noioso tic toc del Barcellona. Noioso non vuol dire brutto.
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