La capitale giallorossa gioca il derby del potere con "gattopardo" Lotito

Dopo le frecciate di De Rossi, lo sfotte il ds Sabatini e Malagò lo bacchetta. Lui: "Attacchi per non cambiare"

La capitale giallorossa gioca il derby del potere con "gattopardo" Lotito

Scusate la domanda: ma il calcio italiano non ha altro da fare che occuparsi del presenzialismo di Claudio Lotito? La domanda, come si diceva un tempo, sorge spontanea nel prendere nota quotidianamente del dibattito compulsivo sul presidente della Lazio diventato oltre che consigliere federale suggeritore della rielezione di Maurizio Beretta in Lega e regista della discussa candidatura di Carlo Tavecchio poi eletto presidente in federcalcio a dispetto di giornali (sportivi e non) e tv (in particolare Sky). Il tiro al bersaglio è cominciato, a margine della prima esibizione dell'Italia di Conte a Bari, con una frecciata di Daniele De Rossi che ha segnalato il personale fastidio per la presenza di Lotito in panchina durante l'allenamento e con la tuta dello sponsor (per difendersi dalla pioggia). E fin qui si può capire: uno è presidente della Lazio, l'altro è capitan futuro della Roma, uno l'ha bacchettato («i dipendenti non devono parlare»), l'altro non ha chinato la testa, insomma prove tecniche di derby.

Nonostante le spiegazioni di Oriali («mai entrato negli spogliatoi») e di Conte («qui comando solo io»), De Rossi non si è dato per vinto. «Se venissero tutti e 21 i consiglieri federali, dove li mettiamo?» ha chiesto malizioso. Senza saperlo infatti ha messo un dito nell'occhio. Perché in passato erano più di uno i consiglieri federali in gita di piacere sul charter della Nazionale: agli europei di Polonia e Ucraina, il presidente Macalli viaggiava scortato dal vice Pitrolo, durante le qualificazioni Ulivieri era una presenza costante, il presidente dell'Aic Tommasi è sempre in coppia col segretario Grazioli. Eppure non hanno mai provocato scandalo.

Lotito invece è diventato un altro tormentone dei nostri giorni. Ieri se ne è occupato anche Sabatini, ds della Roma. Il primo è un messaggio “sindacale” in difesa di De Rossi: «Dire che uno non può parlare in quanto dipendente è una dichiarazione da padrone delle ferriere». L'altro ricorda il clima derby: «Lui va in Nazionale perché i tifosi della Lazio non lo vogliono». Nel dibattito si è inserito pure Giovanni Malagò, presidente del Coni che ha usato una circonlocuzione in stile Abete («ci sono momenti in cui la natura della persona deve mettere da parte quelle che sono le legittime possibilità che nessuno mette in dubbio») per esprimere un suggerimento elementare e anche condivisibile: Lotito può andare in Nazionale ma si dia una calmata! Concetto giusto visto che l'uomo, bersagliato da tutti, giornali, giocatore della Nazionale, dirigenti di altri club, e difeso solo da qualche raro amico, è portato “ad allargarsi” come è capitato qualche giorno fa quando ha fatto sapere, aprendo la coda del pavone, di essere più di un «consigliere federale». Lotito si è ripetuto anche ieri tirando in ballo «un tentativo gattopardesco», per tradurre la guerra intestina sulle riforme che lui starebbe per proporre e che verranno discusse - almeno in parte - nel consiglio federale di oggi. Ecco, mancava solo questo: che si desse arie da Renzi del calcio italiano.

Forse, vista l'aria che tira a Formello, sarebbe meglio se Lotito si occupasse più della Lazio che del club Italia. E nel frattempo sarebbe utile che anche il calcio italiano smettesse di inseguire Lotito dedicandosi ai problemi del settore. Che non mancano. E marciscono sotto la pioggia da molti anni.

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