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"Vi raccontiamo cosa è successo ​nel derby finito 6-0 per il Milan"

Due ex centrocampisti di Milan ed Inter, Giunti e Cauet, ci raccontano quel match ricordando la gioia e l'amarezza di quel derby ma non solo

"Vi raccontiamo cosa è successo ​nel derby finito 6-0 per il Milan"

L’11 maggio è una data dal sapore dolce, dolcissimo per i tifosi del Milan che in quel giorno di 19 anni fa, nel 2001, videro la loro squadra trionfare con un netto e tennistico 0-6 contro i cugini dell’Inter. La doppietta di Gianni Comandini e dell’incubo nerazzurro Andrij Shevchenko unite alle reti di Federico Giunti e di Serginho, che siglò il 6-0 finale, fecero esplodere la parte rossonera del Meazza facendo invece masticare amaro uno stadio quasi per intero colorato di nerazzurro dato che l’Inter giocava in casa quella partita.

Ilgiornale.it ha ripercorso quella data agrodolce interpellando due protagonisti di quella Stracittadina: Federico Giunti per la sponda rossonera del naviglio, Benoit Cauet per quella nerazzurra. Il primo ha vestito la maglia rossonera dal 1999 al 2001, vincendo uno scudetto, e da inizio gennaio del 2019 è il tecnico della Primavera del Milan. Il secondo, invece, ha giocato per quattro anni all'Inter dal 1997 al 2001, ha vinto una Coppa Uefa nel 1998 e nel 2006 è poi tornato in società dove ha collaborato con Inter Channel, è stato allenatore all'Accademia Inter e anche delle giovanili nerazzurre fino al termine del 2018.

Gioia rossonera

Inter-Milan, 0-6: che effetto fa ripensare a quel derby 19 anni dopo?

“Ormai è un appuntamento fisso per i tifosi milanisti. Nei ricordi chiaramente c’è questo derby che ci ha visto protagonisti in positivo. Io poi giocavo e ho contribuito a quel risultato. Nulla lasciava presagire un fine partita di quelle proporzioni perché il Derby è sempre stata una partita combattuta e non ci aspettavamo che potesse finire così. Quello che ricordo è l’ansia agonistica e poi gli ultimi minuti la visione dello stadio vuoto: giocavamo in casa dell’Inter e i tifosi nerazzurri al sesto gol segnato da Serginho hanno abbandonato gli spalti”.

In quel derby hai giocato da titolare segnando anche la rete del 3-0 su punizione: che ricordi hai di quella partita?

“Mi ricordo per prima cosa la doppietta di Gianni Comandini. Sono stato felicissimo che la firma di quel derby l’abbia messa lui con i primi due gol. Non era riuscito a dimostrare il suo valore nella parte precedente della stagione, quindi sono stato contento che sia stato lui l’uomo copertina di quella serata. Inoltre, fece una doppietta di ottima fattura, da attaccante di razza, supportato negli assist da Serginho, forse il miglior in campo quella sera. Lui e Gianni sono stati sicuramente i due migliori in campo in quella partita”.

Furono più i meriti del Milan o i demeriti dell’Inter? Avete mai pensato di fermarvi e non infierire sui cugini?

“Sicuramente noi abbiamo giocato una grande gara. Alla fine, eravamo felici, ma abbiamo esultato in maniera abbastanza composta. Abbiamo capito la difficoltà dei giocatori dell’Inter. È sempre bello vincere un derby, infatti non ci siamo fermati, abbiamo giocato fino in fondo. Alla fine, però, ci siamo immedesimati in loro e non deve essere stata una serata bella”.

A fine partita negli spogliatoi immagino ci sia stata festa grande: ci racconti un aneddoto particolare?

In spogliatoio nessun particolare preciso, se non chiaramente la felicità della vittoria. In campo invece ricordo un aneddoto che mi riguarda. C’è un episodio in cui fui poco educato, ebbi una discussione abbastanza forte con l’arbitro Collina. Sul 2-0 ci fu una ripartenza da parte nostra con Comandini che si stava involando verso la porta e venne atterrato con quello che secondo il mio parere e anche quello di qualche mio compagno era un fallo da espulsione. Collina ha tirato fuori invece il cartellino giallo in maniera veemente, per qualche attimo siamo stati faccia a faccia. Collina, però ,era un arbitro talmente bravo a smorzare qualsiasi situazione che ci siamo poi chiariti in tre secondi. Ricordo poi l’immagine dell’allenatore avversario, Marco Tardelli: c’è un frame in cui si copre quasi il volto e pronuncia la frase “mamma mia”, in attesa della fine della partita. Forse anche per quello, come detto prima, alla fine abbiamo sicuramente festeggiato, ma in maniera rispettosa dell’avversario”.

L’allenatore del Milan era il grande Cesare Maldini, che allenatore era e che ricordi hai?

“Sono stato contento per il Mister. Io sono stato compagno di Paolo Maldini e qualche volta mi era capito di parlare insieme a suo padre Cesare precedentemente, ma gli ultimi due mesi e mezzo in cui è subentrato a Zaccheroni al fianco di Mauro Tassotti mi hanno fatto scoprire un uomo di altri tempi. Un uomo assolutamente composto, tutto d’un pezzo che sapeva il fatto suo. In quell’ultima parte di stagione ha dato spazio un po’ a tutti. Non fu una grande stagione per noi, terminammo sesti il campionato. Venivamo da un terzo e un primo posto nelle stagioni precedenti, però il risvolto positivo è proprio nell’aver conosciuto Cesare che ci fece dimenticare la prima parte della stagione. Ci siamo trovati veramente bene con lui".

Come ti sei trovato in quegli anni al Milan e c’è qualche rimpianto?

“Rimpianti mai. Sono onorato di aver fatto parte per due anni e mezzo di questa famiglia, perché ho avuto modo di capire come funziona un grande Club, in quegli anni il Milan aveva vinto tanto. Noi in quel periodo abbiamo vinto uno scudetto che rappresentò molto, soprattutto per me perché è stata l’unica volta che ho fatto parte di una rosa che è stata Campioni d’Italia. Entrare dentro al mondo Milan, con un’organizzazione assolutamente perfetta che viene portata avanti anche oggi è stato un privilegio. Un giocatore doveva pensare solo ad allenarsi e a fare bene nel rettangolo verde, perché aveva a disposizione tutto quello che serviva per la propria professione e per tutte le cose necessarie. I nostri riferimenti erano il Presidente Berlusconi, il dottor Galliani e Ariedo Braida,insieme a tutte le persone che lavorano attorno: mi hanno fatto subito sentire a casa, anche se io non ero un titolare di quella squadra, sapevo benissimo qual era il mio ruolo. Però ho giocato tante partite e il mio spazio me lo sono ritagliato. Non ultimo, ho avuto modo di allenarmi con giocatori che hanno fatto la storia rossonera, forse la parte professionalmente più bella e interessante è stata proprio questa".

Quali furono i compagni con cui legasti di più e con cui poi sei rimasto in contatto?

“Sono rimasto in contatto più o meno con tutti. In quegli anni c’erano colonne storiche come Seba Rossi, Paolo Maldini, Billy, Demetrio. La “vecchia guardia” che costituiva la spina dorsale di quella squadra, intorno alla quale c’erano Boban, Bierhoff, Weah, poi è arrivato Sheva. C’erano tanti giocatori, un giovanissimo Rino Gattuso, Ambrosini , Abbiati, Serginho, Dida, Ganz e tanti altri. Ogni tanto ci rivediamo nella lounge delle Glorie a San Siro per vedere insieme le partite e l’atmosfera è sempre quella che riporta un po’ a quei tempi”.

Sei tecnico della primavera dall’inizio del 2019: come ti trovi ad allenare dei giovani in erba e cosa pensi del calcio giovanile in Italia?

“La Primavera del Milan è stata una scoperta perché io avevo iniziato ad allenare i giovani nella mia prima esperienza da allenatore, poi ho sempre fatto prime squadre. Devo dire, però, che ho fatto la scelta giusta quella di allenare la Primavera che sta nel limbo tra l’ultimo step del settore giovanile e la Prima Squadra. Io alleno a tutti gli effetti una squadra di giovani ma che iniziano ad approcciarsi al mondo dei grandi. Siamo ovviamente da supporto, tanti dei nostri ragazzi quando è necessario si allenano con la Prima Squadra, quindi fa molto piacere. Inoltre, con lo staff ci divertiamo, è bello stare insieme, al di là delle partite. Durante la settimana poi lì si fa la differenza, perché i ragazzi ci seguono in tutto e per tutto, ci dimostrano che danno sempre più del 100%, questa è già una base importante per lavorare con loro. Poi sono giocatori di ottima qualità e spero che qualcuno da questo gruppo abbia la fortuna di fare esperienze importanti nel calcio professionistico".

Il calcio italiano si è ormai fermato da due mesi per via della pandemia da coronavirus: come hai vissuto questi momenti lontani dal campo?

“La priorità chiaramente è la salute perché questi due mesi ci hanno segnato. Detto questo dobbiamo imparare a convivere con questo virus per ancora un po’ di tempo. Ritengo quindi che dovremo stare attenti, rispettare le norme e i protocolli che verranno indicati, ma dovremo fare in modo di ripartire. Il mondo del calcio è una grande azienda, che come tutti gli altri comparti che compongono l’economia italiana deve ripartire. Noi siamo a disposizione, anche perché nonostante le persone abbiano, nel piccolo, pensieri e problemi, potrebbe essere uno svago e un modo per far pensare loro a qualcosa di diverso".

Amarezza nerazzurra

Cauet, che ricordi ha del derby del 6-0?

“Mi ricordo che eravamo partiti discretamente bene e nel primo tempo eravamo in equilibrio nonostante loro fossero in vantaggio di due reti. Io entrai al 39’ per l’infortunio di Farinos: eravamo sotto ma non immaginavamo che potessimo crollare nel secondo tempo”.

Ha mai pensato che forse gli avversari si sarebbero potuti fermare o giusto giocare fino alla fine?

“Questo fa parte del gioco, loro sono andati avanti a segnare e hanno giocato fino alla fine la loro partita. Noi eravamo in piena difficoltà e loro hanno sfruttato questa nostra debolezza. Non c’è un bene o un male: c’era una squadra che stava meglio a livello fisico e mentale, e un’altra che invece non ci stava capendo davvero nulla purtroppo. Serata da dimenticare".

Cosa vi siete detti negli spogliatoi?

“Niente, sinceramente. C’era poco da dirsi. Eravamo molto rammaricati e tristi perché avevamo sbagliato in pieno una partita che non avremmo dovuto sbagliare. L’allenatore era Tardelli ma era subentrato a Lippi. Era un tecnico con le sue caratteristiche e che conosceva alla perfezione il campionato italiano. Nonostante questo quella fu una stagione dura e quella una partita molto difficile per noi”..

Lei è stato allenato anche da Lippi: cosa non ha funzionato in quella stagione con lui?

“Il mister è un uomo di grande personalità che nell’arco della sua carriera con le sue vittorie si è costruito la nomea di allenatore vincente. Io ho sempre avuto un grande rapporto con lui, anche se le cose non sono funzionate all’Inter. Veniva dalla Juventus, c’era un’alta rivalità e i tifosi nerazzurri hanno subito guardato il suo pedigree… c’erano alti presupposti ma resta comunque un grande allenatore anche se all’Inter non è andata bene. Bisogna avere il tempo per costruire qualcosa di bello ma spesso in Italia manca il tempo”.

La tua esperienza all’Inter è durata quattro anni con 146 presenze e sette reti, quanto pesa quella maglia?

“Pesa.. e tanto. L’Inter è una società di livello mondiale. Ha vinto tanto, ha avuto tanti calciatori importanti. Io arrivavo in Serie A dopo dieci anni passati in Francia: possi dire di aver fatto un grande salto di qualità e ho solo bei ricordi di quel club, di quella squadra, di quei tifosi, di tutto e tutti”.

Al primo anno sfiorasti la vittoria dello scudetto e vincesti la Coppa Uefa con Ronaldo grande protagonista di quella squadra:

“Ronnie era la ciliegina sulla torta, il giocatore più forte al mondo in quel momento. Noi eravamo un’ottima squadra, ben allenata e affiatata. Tornando al brasiliano posso dire che ha vinto due palloni d’oro, era capace di decidere le partite in ogni momento, era un’eccellenza assoluta in Italia e nel mondo".

Quella stagione fu avvelenata dalle polemiche: cosa ne pensi di questo argomento?

“Penso sia stata una stagione ottima su tutti i punti di vista, poi ci è mancato un qualcosa su un avversario di grande forza di grande capacità come la Juventus. Ci sono stati episodi che sono stati visti da tutti, ormai sono passati tanti anni: fa male quando ti vedi sfilare sotto il naso qualcosa di bello e che avresti meritato ma ormai è acqua passata”.

Che ricordi hai dell’Inter e chi ti viene in mente quando si parla del club nerazzurro?

“Io sono stato all’Inter dal 1997 al 2001 come calciatore e poi nel 2006 sono tornato e ci sono rimasto in diversi ruoli fino a fine 2018. Per me l’Inter è stata importante. Se penso al club mi vengono in mente Zanetti e Moratti che hanno fatto la storia dell’Inter e che hanno dimostrato di amare l’Inter al di là di tutto”.

Giusto provare a ripartire con il calcio o meglio concludere la stagione in anticipo come fatto in Francia?

“Per me è una situazione talmente complicato da gestire che non so cosa dire. Non vedo ad oggi sicurezza sui contagi. Per me non è una cosa positiva e sarei per non tornare in campo perché il campionato sarà falsato senza tifosi e in queste condizioni. Se è solo per portarlo a termine è un conto ma non avrà lo stesso senso e valore”.

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