Abbiamo rivisto Gigirriva e confermato il nostro dna

Abbiamo rivisto Gigirriva e confermato il nostro dna

Cercavamo verità. Le abbiamo trovate. I tedeschi con l’Italia non vincono mai. Roba da far venire freddo pure alla Merkel. Basta passare da un SuperMario all’altro. Quegli occhi umidi delle tifose tedesche sono stati più di un gioco della verità. Senza neppure attendere novanta minuti: ne sono bastati una quarantina. Quello smanacciare di Gioacchino Löw su un quaderno d’appunti raccontavano più di un tormento interno. Quel mostrare il fisico con l’orgoglio di un Tarzan, comunque di un uomo della giungla calcistica che vuol fare veder al mondo la sua forza, sono stati l’attimo di felicità che ci ha raccontato Mario Balotelli. Sì, anche lui è capace di essere felice. Lo ha detto prendendo quella maglietta col forza, con amore, con passione. Altro che quel gesto che nessuno gli perdonò all’Inter: maglia a terra per dispetto. Qui c’era un ragazzo che sentiva orgoglio più che vanità. Il sorriso sgorgato senza freni dopo il colpo di testa che gli ha riaperto il senso di una vita, eppoi quel fisicaccio in mostra, con lo stupido rischio di ammonizione, ci hanno raccontato tante verità, forse intuite, mai così chiarite.
Questo cerchio della verità intorno a un pallone è stato il miglior gioco di società, talvolta anche gioco di squadra. Ci siamo ricordati di avere un portierone: non c’è solo un SuperMario, c’è sempre un SuperGigi, un po’ Superman e un po’ Gastone(vedi quel salvataggio sulla linea di Pirlo). Abbiamo riscoperto le fragilità tedesche infiltrate nel reparto difensivo. Si erano già notate contro la Grecia. Quel poveretto di Badstuber pareva una ballerina sempre fuori tempo e SuperMario un Billy Elliot a modo nostro, maestoso nel suo volo sopra le capocce, ma perfettamente in linea nei suoi istinti maschili. Un po’ Billy Elliot e un po’ Gigi Riva, ciclonico nel tiro, devastante nel colpo di testa. Forse non è un caso se Riva ha sempre coccolato Balotelli, deve averci visto qualcosa di un erede. Follie dell’ingegno a parte, ieri sera come nessuna volta mai, SuperMario ha rispolverato l’immagine di vecchi simboli del nostro calcio: da Rombo di Tuono a Bonimba. E i numeri parlano: sempre gol importanti, in Premier ne ha segnati 13 in appena 23 presenze.
È affiorata pure la verità sul SuperMario alla tedesca: temibile e terribile davanti a difese larghe, da rispedire in panchina davanti a una difesa che sa stringersi. All’italiana verrebbe da dire, ma le difese di antico stampo erano più serrate di questa.
La verità del calcio ha sempre un paio di facce, altrimenti non diremmo che la palla è rotonda e questa volta racconta che non sempre vince la squadra migliore, ma quella che sa essere migliore nel momento che conta. L’italiano medio, in tal senso, ci sa fare. E l’Italia del pallone non smentisce il Dna. Questa è un’Italia concava e convessa: si adegua e non si adagia. Avremmo tutti pensato ad un centrocampo panzerone più insuperabile di un muro berlinese e invece si è rivelato un muretto del pianto. C’era una volta la linea Maginot inventata da Nereo Rocco, questa è stata una Maginot più moderna ad immagine e somiglianza di quell’idea. Come dire che la verità del nostro calcio sta in un fattore genetico che poi diventa fattore tecnico e infine si traduce nel fattore Italia: cuore e tecnica, determinazione e un occhio dalla buona stella.
Ci siamo goduti i soliti 30 minuti di Cassano, che ha il guizzo ma non più la forza nel fisico. Montolivo ci ha raccontato qualcosa in più di se stesso: quel passaggio filtrante per la seconda rete di Balotelli, con i giri contati, alla Pirlo per intenderci è stato un fiocco regalo al credo di Prandelli. Ieri sera si è vista un’Italia più vera e una Germania più finta. Ma la verità ci ha ricordato che l’Italia fa sempre fatica a segnare, se non c’è un Balotelli a farci sognare. E forse la Germania non aveva capito qualcosa delle sue verità: non aveva perso mai, ma quei due gol subiti dalla Grecia erano un campanello d’allarme.


E ora siamo tornati a Spagna-Italia di quattro anni fa, campionato europeo, sulla panca c’era Donadoni e una sfida finita ai rigori. Vinsero gli spagnoli. Forse la storia di questo europeo vuol capire se quel risultato fa ancora verità. O se va rivoltata.

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