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"Adios" Gianni Minà cantore dello sport e dell'America latina

Giornalista, scrittore e conduttore televisivo ha intervistato tutti: da Muhammad Alì a Castro

"Adios" Gianni Minà cantore dello sport  e dell'America latina

Dopo Costanzo, Minà. In fondo legati dalla voglia di narrare, ascoltando. Gianni come Maurizio sapeva accomodarsi di fianco a chiunque, illustre o sconosciuto e regalarci pietre verdi della scoperta. Gianni ha girato il mondo con ritmi mai frenetici, sapeva cogliere il gusto e il senso della vita altrui, spesso smarrendo il proprio con orari improbabili.

Prigioniero di un sogno, essere il portavoce e portacroce del sudamerica, quella fetta di terra e di popolo che unido jamàs serà vencido. Era compagno di Diego e di Fidel, portò a spasso per Roma, sulla sua Cinquecento Fiat, i Beatles, stavano stretti e non capivano mai chi fosse quel tipo baffuto che però sapeva tutto dei fab four, andava a cena con De Niro e Cassius Clay, Fellini e la Masina, era tifoso del Toro, sapeva di sport e di letteratura, era giornalista di razza, a tratti un po' narciso.

Diceva che la sua bizzarria veniva dallo zio Peppino che era stato cosacco del Don della Russia zarista, prima della rivoluzione di ottobre. Le sue origini erano siciliane, Castelbuono, provincia di Palermo, il terremoto di Messina gli portò via nonno Giovanni che era impiegato delle ferrovie dello stato poi emigrato ad Asti dove conobbe Cesira; un altro nonno Enzo, se ne andò con il bombardamento del 43 che salvò invece e nonna Nella.

Gianni, il nome in memoria del nonno, era nato a Torino, la famiglia si era trasferita ad Asti, la guerra li fece sfollare a Brusasco. Lavorare con Gianni fu un privilegio e, insieme, un'avventura, gli appuntamenti erano ipotesi, inutile inquietarsi, alla fine bastava un sorriso per dimenticare l'attesa eterna e l'impazienza. Maradona fu il suo giocattolo preferito, Castro gli concesse sedici ore di inrtervista e fu come un rito religioso.

Ogni tanto gli piaceva ricordare, sotto voce,le sue pazzie infantili quando seguiva le radiocronache dei tapponi al Tour e al Giro d'Italia, metteva assieme i nomi dei ciclisti, annotava i tempi e da qui nasceva il romanzo da narrare alla brigata di amici. Si era portato avanti con il lavoro e con i sogni, incominciò a scrivere per il Tuttosport ma la tipografia non aveva lo stesso fascino della strada e soprattutto del microfono e della macchina da presa. Dunque la Rai in uno scenario nuovo da lui esplorato in ogni dove, trasmissioni cento e personaggi mille.

Diventò amico di Marcellus Cassius Clay divenuto Mohammed Alì che soltanto a lui riservava confidenza, Gianni mi fece conoscere il mito, passammo insieme tutto un pomeriggio fino alla sera, un viaggio fantastico all'interno di una stanza d'hotel. Questo era il suo pregio, un valigia piena di memorie e di conoscenze poi tramutatesi in amicizie vere, pure improbabili e illustri, il premio Nobel Gabriel Garcia Márquez e attori, e registi e allenatori e pugili e ciclisti, il mondo di tutti, il suo luna park privato.

Si affollano i ricordi, gli otto campionati del mondo di calcio e quella volta che fu respinto allo stadio di Wembley dove avrebbe voluto filmare e raccontare la sfida tra Scozia e Inghilterra ma non per questo si arrese, si mise davanti al televisore, seduto per terra nella stanza dell'albergo londinese e, come gli accadeva da gagno da bambino, fece la cronaca di quella partita.

Il suo tramonto è stato malinconico e non soltanto o certamente per la malattia. Ignorato dalla Rai e dalle altre emittenti, ai margini di una televisione frettolosa e superficiale, scomodo infine, Gianni non aveva più diritto di cittadinanza nemmeno nelle trasmissioni riservate all'epoca vintage, la sua, quella di cui è pieno l'archivio televisivo.

Oggi, come accade puntualmente, si radunano gli amici smarriti, si esibiscono pensieri e parole finiti nel dimenticatoio. In fondo lo aveva previsto in uno dei suoi favolosi racconti, quando incontrò e intervistò Gabriel Garcia Márquez.

Gianni ha vissuto bene e ha concluso la sua esistenza dopo ottantaquattro anni, in solitudine.

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