Alfio Caruso racconta cento anni d'intrecci tra pallone e realtà politica, sociale e culturale del Paese l'anticipazione

Quella frase di Churchill: «Gli italiani vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno ad una partita come fosse la guerra» non è solo un attestato di idiozia nostrana, ma l'ideale refrain di una storia italiana durata cento anni. Quando parliamo di nazionale talvolta stravediamo, quando parliamo di calcio quasi sempre straparliamo, quando diciamo Italia non sappiamo mai a cosa riferirci: si parla di nazionale o di nazione? O forse tutte e due perché l'intreccio e gli intrighi, affari e passioni sono stati il filo conduttore della storia d'Italia raccontati dalla nazionale e dai problemi nazionali. In questi giorni nei quali si parla di azzurro, costretti a sorbirci le inesorabili balotellate e il codice etico di monsignor Prandelli, ci viene in soccorso una storia del calcio che, come dice il sottotitolo, racchiude «Cent'anni d'Italia raccontati dalla nazionale di calcio». La scrive una vecchia conoscenza dei lettori del Giornale: Alfio Caruso che è stato capo dei servizi sportivi sotto la direzione Montanelli, oggi scrittore di successo, penna raffinata, curiosa e sempre informata, con quel pizzico di cattiveria che non guasta mai. Quindi una garanzia per chi voglia divertirsi a leggere storie e retroscena, per chi cerca pepe e sale e non solo vaselina. Tanto per intenderci: libro scritto a ritmo di partita inglese e con il gusto del giornalismo americano.
Il titolo, «Un secolo azzurro» (ed. Longanesi, 587 pagine, 18.80 euro), è vagamente ingannatore. Perché non si tratta solo di storia di una nazionale, ma di storia d'Italia e storia del nostro calcio: slalom fra intrighi politici e sporca politica del pallone, fra gol mancati e trasmissioni di successo, vittorie azzurre e meraviglie dei nostri campioni che diventano più importanti delle stelle del cinema e della Tv. Si racconta di Edoardo Agnelli che spiega, nel 1925, a Mussolini come l'apertura nel campionato di calcio ai figli degli espatriati in America possa costituire il primo passo della espansione politica e lancia l'epopea degli oriundi, e della geopolitica in nazionale, si torna agli scandali italiani e agli scandali del calcio, si narra di scudetti vinti e perduti, Milan, Juve, Inter e compagnia, e dell'eterno combattere fra crisi di governo e crisi finanziarie, tra mafia e P2, tra ristrettezze di una nazione che poi si specchiano anche nella micragna delle compravendite calcistiche. Leggiamo: «Nessuno spende, nemmeno la Juve, l'inflazione è al 16 per cento, prezzi raddoppiati, si parla di ruberie e tangenti ai partiti», anni settanta. Oppure: «Boniperti fronteggia la prima crisi Fiat limitando le spese e arrivarono Scirea, Damiani e Gentile». Boniperti che fra l'altro vien definito il miglior presidente di sempre avendo saputo vincere mantenendo conti in ordine. E che, per converso, ha vissuto uno dei peggiori periodi della nostra nazionale quand'era giocatore. È anche vero che già dagli anni trenta si parlava di calcio italiano peggiore di ogni epoca. O che il giudizio di Rocco, Frossi e Bernardini: «Rivera secondo solo a Meazza», è rimasto indelebile a dispetto di Baggio e soci. Tenete presente che, secondo Annibale Frossi, Meazza valeva Pelè.
Detta così si arriva velocemente ad una conclusione: tutto cambia perché nulla cambi. La storia di 100 anni italiani visti attraverso la nazionale ci dice che abbiamo già visto tutto e di tutto. Qualunque siano sorpresa e incredulità. Nereo Rocco chiamava Germano «Bongo Bongo» ma non faceva gridare al razzista. Bearzot, che eliminava dalla sua nazionale Mancini e Zenga, non ci raccontava di un codice etico: semplicemente lo applicava. La contestazione dei tifosi napoletani contro la nazionale colpevole di preferire Meazza a Sallustro è stata la prima di una lunga serie. Le Alfa Romeo promesse dal Duce per la vittoria sono l'anticipo di ben più cospicui premi partita. I 300mila dollari in nero (regalo dello sponsor)che Pertini permise di trasportare sull'aereo del ritorno azzurro dai mondiali di Spagna '82, rievoca le alzate di spalle in barba al fisco. Gli articoli del Corriere della Sera che nel '62 scatenano lo scontro politico con il Cile, pagato dagli azzurri durante i mondiali, ci riportano ai giochi di potere. Montanelli che al mondiale '34 vede Mussolini accogliere il Führer sussurrando: «Non mi piace», ci offre una chicca storica.
Allemandi che paga per tutti la combine fra Juve e Torino, mentre non è chiara la posizione di Combi e Rosetta, ci introduce ad ogni porcheria del calcio truccato.

Berlusconi che mette sul tavolo di Felice Colombo, allora presidente del Milan e vecchio compagno di collegio, cinque miliardi di lire per comprare Paolino Rossi (offerta respinta), racconta la lunga serie di occasioni perdute dalle squadre italiane: Di Stefano sarebbe voluto venire alla Roma, Puskas fu tra Inter, Milan e Juve. Agnelli scartò Maradona, Fraizzoli mancò Paolo Rossi. Infine si racconta del calcio rivoluzionario di Sacchi e della fortuna rivoluzionaria di Lippi che ci lanciò in una estate spensierata. L'ultima.

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