Allenamento e abitacolo: così Grosjean si è salvato dall'auto palla di fuoco

Testa e colonna protette dall'"Halo" e dall'"Hans". Piloti cronometrati nei test di uscita dalle auto

Allenamento e abitacolo: così Grosjean si è salvato dall'auto palla di fuoco

Per saltare fuori da una palla di fuoco in meno di 30 dopo aver preso una botta a 180 all'ora contro un guard-rail che si era trasformato in ghigliottina bisogna essere degli atleti veri. Romain Grosjean non è un campione da prima fila. Non ha mai conquistato un gran premio e chiuderà la sua carriera senza riuscirci, ma dopo 179 gp e 10 podi, in Bahrain ha vinto la gara più importante della sua vita. C'è riuscito perché la Fia ha lavorato bene sulla sicurezza in tutti questi anni, ma anche perché lui che non è Hamilton, ma uno degli ultimi dello schieramento, già lasciato a casa dalla sua scuderia per la prossima stagione, ha dimostrato di essere un atleta vero, di essere in forma a 34 anni come un ragazzino di 20. Perché provateci voi a prendere una botta di quelle dimensioni e a realizzare che se in pochi secondi non ti slacci le cinture, non ti liberi dalle protezioni e non schizzi fuori come un razzo, rischi di fare una brutta fine. Ogni tanto ci si dimentica che dentro quelle monoposto ci sono degli atleti veri che non rischiano una caviglia o un muscolo, rischiano la vita. Lo hanno salvato la cellula di sopravvivenza, l'Halo, l'Hans, la tuta ignifuga, l'intervento dei commissari di pista con gli estintori (ma se ci fossero stati i Leoni della Cea l'incendio sarebbe stato estinto molto prima), il pilota dell'auto medica che è subito arrivato ad aiutarlo. Ma senza la sua preparazione, senza quel salto olimpico dall'inferno in fiamme, tutto sarebbe stato inutile. Si è ustionato alle mani e ai piedi, incrinato le costole, ha respirato l'indicibile, ma davvero avrebbe potuto finire in tutt'altro modo.

Il lavoro della federazione in questi anni è stato ammirevole, anche se quello che è accaduto in Bahrain, una delle piste più moderne, ci ricorda che non sarà mai abbastanza perché dietro a un guard-rail posizionato male e lasciato senza protezioni davanti c'è sempre un pericolo in agguato. Ci sarà un'inchiesta per capire perché lì in quella protezione qualcosa non ha funzionato come quando nei giri finali dietro la Safety Car qualcuno ha attraversato la pista davanti a Norris E qualcuno dovrebbe spiegarci anche perché la Haas si è spezzata come un grissino. Ad aver funzionato alla grande, oltre alla cellula di sopravvivenza, è stato l'Halo, quella bruttissima infradito che sta sopra l'abitacolo. Introdotta nel 2018 dopo una campagna fortemente promossa dalla Fia, ha protetto la testa del pilota dall'impatto che sarebbe stato fatale, così come l'Hans (Head and neck support) che ha impedito che la decelerazione violenta gli facesse perdere conoscenza. Decisivo è stato soprattutto l'Halo, un angelo custode in titanio la cui introduzione è dovuta soprattutto alla testardaggine (e alla lungimiranza) di Todt. Il resto lo hanno fatto gli indumenti ignifughi che i piloti sono obbligati a indossare anche quando si corre a temperature assurde. Anche qui il progresso è stato enorme, anche se restano dei punti critici come si vede quando Romain balza fuori dalla sua Haas senza la scarpa sinistra.

Pur sommando tutto questo, la preparazione del pilota, gli sforzi della tecnologia, le ricerche degli ingegneri, va riconosciuto che dobbiamo parlare di miracolo. Un miracolo pilotato dall'uomo e dai suoi sforzi. Ma pur sempre un miracolo.

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