Altro che provincia

I segreti del Como in A: la proprietà (straniera) più ricca del calcio italiano e l'ambiente entusiasta. Che a qualcuno ricorda il Chelsea...

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Como - Anche di Clint Eastwood si dice che abbia due espressioni, con o senza cappello. Copyright di Sergio Leone, ma vanne a trovare uno che dubiti quando ti fissa così, che sia in «Gran Torino» o «Per un pugno di dollari». Di dollari ne ha altro che le mani piane, Mirwan Suwarso, rappresentante della famiglia Hartono e di un patrimonio da 25 miliardi e mancia che ne fa la proprietà più ricca del calcio italiano e tra le prime dieci al mondo.

Suwarso di Eeastwood ha la medesima mimica facciale, che il Venezia sia virtualmente in A mentre il Cosenza è in vantaggio al Sinigaglia o che Verdi segni il rigore decisivo. Promozione promessa e mantenuta, per questo c'è da credergli quando dice che il Como deve stare in A e deve diventare un riferimento del calcio nazionale. Perché paradossalmente internazionale lo è già. Basti vedere platea e loggione dell'ultimo atto, quello decisivo. Tifosi di vecchia data e giovani, tanti. Ragazze ben vestite come a una prima, quasi ancora di più. E poi stranieri, che si riconoscono per fisionomia e vocabolario.

Le casse del Sinigaglia sparano Enter Sandman dei Metallica, poi si switcha su Pulenta e galena fregia di Van de Sfross: «Il Como in A deve fare come Yanez: cuore selvaggio, coraggio non stupido, leggerezza da libellula. Come Yanez, sì, per attaccare i galeoni», dice il cantautore che ha dedicato una versione «stadium» della sua canzone, sonoro manifesto biancoblu. Suwarso è lì sulla poltroncina 282. Alla sua sinistra, Darren Dein, figlio dell'ex proprietario dell'Arsenal e uomo vicino a Fabregas. Un campione del mondo in campo, nella panchina del gallese Osian Roberts, un altro in tribuna. Siede alla destra di Suwarso ed è Thierry Henry: «Chiaramente è più difficile stare qui che in campo», dice l'ex Juve, Barcellona e Arsenal. «Possiamo parlare in inglese?». Of course. «Chi mi assomiglia in questo Como? Non è giusto fare paragoni, gli attori oggi sono loro. Si meritano questo palcoscenico e questo momento così importante». Parole da manager, quelle di Henry. Indole da calciatore: butta con noncuranza ai suoi piedi un paio di occhialini da vista, forse solo di bellezza. È il momento in cui il comasco medio arriva allo stadio a piedi o in motorino, tra code chilometriche.

Ci sono l'ex Gianluca Zambrotta e Lara Magoni, sciatrice e oggi sottosegretaria regionale allo Sport. Ma anche Jamie Vardy, capitano del Leicester, trombetta in mano per tifare Como, proprio come chi sfila su viale Rosselli con bandiera del Derby County. Sarà il colore del club, ma sembra piuttosto di essere a Chelsea, non fosse che Suwarzo non ha i lineamenti di Abramovich, che gli spettatori sono solo 7436, ma bastano per la fastidiosa abitudine italiana di rompere con gli applausi il minuto di silenzio, stavolta per Casteldaccia.

«Nel secondo tempo spingiamo verso la curva, farà la differenza», assicura chi il Como lo conosce da sempre. Ha ragione: da 0-1 a 1-1, proprio sotto il vessillo 1907. Gli operatori disseminati sulle tribune riprendono i volti di Henry e Suwarzo, che si scioglie.

Van de Sfross, Davide Bernasconi, si stropiccia il volto, le labbra strette: l'esultanza per la certezza della A è come un rigore del Var, arriva in differita dopo la fine di Spezia-Venezia. Lui l'aveva cantato: «Sculta el vent che l pica la porta». È il vento che soffia dall'Indonesia di Suwarso e degli Hartono.

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