L'uomo bionico ha un cuore grande così. Lo ha avuto qualche mese fa quando in lacrime annunciava il suo addio probabilmente definitivo al tennis. Lo ha soprattutto ora, con una placca di metallo sul fianco e la voglia di stupire il mondo. Perché alla fine la vita riserva sempre delle sorprese. A volte delle meraviglie.
L'uomo bionico si chiama Andy Murray, ma non è certo un parente di Robocop. Era uno dei Fab Four, i Superman della racchetta, ma l'anca sollecitata dal suo gioco muscolare alla fine lo aveva reso normale e pieno di dolori. Andy a gennaio aveva detto basta, in lacrime: «Mi devo rassegnare all'operazione. E non è per il tennis, ma per vivere una vita come tutti. Per tornare a camminare. Per tornare a rimettere i calzini senza sentirmi male». Probabilmente non ci rivedremo più, appunto diceva. Ma uno che ha riportato il trofeo di Wimbledon in Grande Bretagna 77 anni dopo l'ultima vittoria di Fred Perry, non può pensare che l'impossibile non esista.
Era insomma il 2013 quando Andy divenne definitivamente uomo, lo scozzese più amato di Londra e anche questa è una storia da raccontare ai posteri. Sei anni dopo, a 32 anni, invece il problema sarebbe stato quello di pensare a un futuro da percorrere con la sua dolce Kim e i loro due figli, di poterli portare a spasso senza apparire un invalido: «Sento troppo dolore, non posso continuare così». L'angoscia, i dubbi, poi la chiacchierata con Bob Bryan, quello che gioca in doppio col gemello e che rischiava di fare la stessa fine: «È lo stesso mio problema e l'ho risolto - gli ha suggerito - vai da Sarah Muirhead-Allwood, che ha operato anche la Regina Madre e il principe Filippo. Rinascerai». È rinato.
L'uomo bionico ora viaggia con una placca di metallo nell'anca ma sembra neanche accorgersene. È tornato in campo un paio di settimane fa al Queens in doppio con Feliciano Lopez, il tennista preferito di mamma Judy, e ha vinto pure il torneo. E in doppio (con il francese Herbert) adesso riparte proprio da Wimbledon, senza forzare i tempi, per rimettere su un po' di quel muscolo che il chirurgo ha dovuto tagliare per impiantargli la placca. Ma la cosa più bella è che il sorriso è tornato, il dolore è sparito: «Ho vinto con un'anca di metallo: è una cosa che può accadere solo grazie a una forza mentale. Sono felice». Niente più divano per vedere il suo Arsenal perdere: si torna finalmente a giocare.
Quei 157 giorni dal 29 gennaio sono stati dunque il tempo della resurrezione di un uomo, prima che di un giocatore. Sono il tempo in cui il dolore si è trasformato in una nuova gioia di vivere, in un'esistenza in cui il tennis è diventato il mezzo e non lo scopo. Andy ora non ha più paura, «perché sei mesi fa non avevo più voglia di nulla, ora finalmente mi diverto come una volta. Non sarò lo stesso tennista e non sarò quanto durerà. Ma adesso so che il giorno che dirò basta sarà perché lo deciderò io». L'obbiettivo è tornare in singolare agli Us Open, «ma se le cose non andranno bene, magari farò solo il doppista. Vediamo dopo Wimbledon: potrei continuare ad allenarmi, oppure prendermi un lungo break per preparami al meglio».
E Il traguardo? «Mi piacerebbe tornare a vincere un grande torneo, ma ora ho capito che si può vivere di tennis anche se poi non succede». Il che significa alla fine che si può vivere insomma come un uomo bionico senza dover avere per forza un cuore di latta. Anzi, di metallo.
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