Triplice fischio di Rocchi, il Napoli ha appena strappato all'Inter un posto nella finale di Coppa Italia. E quell'abbraccio collettivo in barba al protocollo che impone il distanziamento sociale è la chiara immagine del gruppo azzurro. Nel silenzio del San Paolo rotto solo dalle sue urla e da quelle del collega Conte, Gattuso ha vissuto la notte più bella da quando (poco più di sei mesi) allena il Napoli. Una notte che solo parzialmente ha lenito il dolore per la scomparsa della sorella Francesca, alla quale ha dedicato la vittoria.
Il tecnico calabrese, assente dai social ma molto attento alla comunicazione, ha modellato la squadra a sua immagine e somiglianza: ha cambiato il Napoli ristabilendo ordine nello spogliatoio - instaurando un feeling umano con i calciatori, specie con Insigne - dopo la tormentata fine dell'era Ancelotti, e poi in campo a livello tattico dimostrando di essere un allenatore preparato. Insomma dopo 40 giorni di «rodaggio» ha rimesso in piedi un paziente complesso. E ci è riuscito abbandonando le velleità di riproporre un calcio alla Sarri, al quale pure si era ispirato affidandosi al 4-3-3 che è pure il suo modulo: il Napoli di Gattuso non è spettacolare, ma è messo bene in campo, difende più basso rispetto al passato e preferisce colpire con qualità in ripartenza. Ha dunque insegnato al gruppo che si può vincere anche curando la strategia difensiva, senza ambire allo 0-0 finale, ma allo scopo di trovare un modo diverso di fare gol.
Un Napoli «modellato» sul suo allenatore, come ai tempi di Sarri, ma il cui «fantasma» - Ancelotti ci aveva dovuto convivere sin dall'inizio - è stato finalmente allontanato da Castelvolturno. «Ho fatto spesso copia e incolla del gioco di Sarri», disse a gennaio Gattuso prima della partita al San Paolo con la Juve che già valeva una stagione. La copia (squadra bassa e compatta che esaltò il talento di Insigne), per una notte, era riuscita anche meglio dell'originale. Due a uno ai bianconeri, mercoledì nella finale di Coppa il precedente non potrà che pesare.
Gattuso ha poi guidato la società nel mercato di gennaio (vedi l'acquisto di Demme dal Lipsia, il centrocampista centrale bravo a dettare i tempi e a dare i giusti equilibri alla squadra), consentendogli di ritrovare la rotta giusta dopo che la barca poteva andare a picco. «I ragazzi hanno saputo soffrire, mi hanno dato una gioia», le parole di Gattuso dopo la gara con l'Inter. Si deve al tecnico se nessun elemento della rosa, stranieri compresi, ha lasciato Napoli nel periodo di lockdown, eppure le frizioni squadra-presidente - vedi vicenda dell'ammutinamento - non si erano affievolite neppure al tempo del virus. Gattuso ha ricucito gli strappi, guadagnandosi la fiducia della squadra parlando sempre chiaro. De Laurentiis gliene ha dato atto: il rapporto andrà avanti fino al 2022.
Una persona seria, sanguigna e sincera, fin quasi alla brutalità. Così viene descritto Gattuso da chi lo conosce bene. E «Ringhio» ne ha viste tante nella carriera da allenatore: la situazione di «pericolo» a Pisa con cui ha poi vinto il campionato, quella in Grecia all'Ofi Creta dove si scagliò contro i giornalisti a difesa della squadra fino al Milan, portato in un periodo di cambio societario a un passo dal 4° posto.
Sottrarre la panchina al maestro Ancelotti gli aveva causato critiche ingenerose e lui, dopo il periodo di rodaggio, ha risposto sul campo a chi parlava già di stagione fallimentare. Gattuso ha invece salvato l'annata del Napoli e ora dietro l'angolo c'è di nuovo Sarri...
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