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Boskov, il maestro che ha fatto amare il calcio del sorriso

Fece grande la Samp di Vialli e Mancini, lanciò Totti, vinse col Real. Sfiorò due volte la Champions. E incantò tutti con i suoi aforismi 

Boskov, il maestro che ha fatto amare il calcio del sorriso

È morto a Begec, in Serbia, Vujadin Boskov, 82 anni, leggendario tecnico che ha allenato Ascoli, Roma (in cui fece esordire Totti), Sampdoria, Napoli e Perugia, ma anche Real Madrid (con un titolo spagnolo), Feyenoord, Vojvodina e la Nazionale jugoslava. Con la Samp (in cui giocò anche negli anni Sessanta) conquistò uno storico scudetto nel 1991, arrivando in finale di Coppa dei Campioni persa contro il Barcellona.

Vivere nei cuori che lasciamo dietro di noi non è morire. Vujadin Boskov, allenatore di calcio, uomo di sport, genio, non se ne andrà mai, anche se ieri, a 82 anni, ci ha detto arrivederci. Se potesse vi direbbe che partita, come il rigore, come la vita, finiscono, arrivano, soltanto quando arbitro fischia e questa volta l'ordine di uscire dal campo è arrivato anche per questo gigante del calcio che era nato il 16 maggio 1931, uomo di Serbia, villaggio di Begec, a 15 chilometri da Novi Sad, in Vojvodina, la patria mai dimenticata anche se la professione di giocatore prima e di allenatore poi lo ha portato in mille case diverse, dove ha lasciato qualcosa di se stesso, oltre a molti successi. A Novi Sad non vinse come giocatore, dominavano Stella Rossa, Partizan e Hajduk Spalato, ma per 57 volte ha vestito la maglia della nazionale, quella dei plavi. A trent'anni gli diedero il permesso di espatriare. Il destino gli fece incontrare la Sampdoria, poca roba, 13 partite, 1 gol. Ma il suo viaggio era appena cominciato. A 31 anni sa che deve allenare. Comincia in Svizzera con gli Young Boys. Torna alla Vojvodina, dal'71 al'73 allena la nazionale jugoslava. Ma era ora di volare di nuovo. Olanda, l'Aja e il Feyenoord, poi la Spagna, Real Saragozza prima del Real Madrid ('79-82), poi il Gijon, fino a quando Costantino Rozzi lo chiama ad Ascoli dove, secondo lui, la gente, era uno dei suoi meravigliosi aforismi, aveva i piedi sotto terra, sopra il cielo, mai sulla terra, ma lui li fece sognare perché vinsero la serie B. Una stagione prima del grande matrimonio con la famiglia Mantovani, con la Sampdoria che grazie a lui, fra il 1986 e il 1992 ha conosciuto il vero splendore. Poi Roma, dove lanciò Totti, Napoli, Servette, ancora un atto d'amore impossibile per tornare alla Samp nel '98, il Perugia e la chiusura con la nazionale serba nel 2001.

Un viaggio, una grande storia. Argento olimpico ad Helsinki come giocatore nel 1952, a 21 anni, poi il mondo fu suo: coppa in Olanda nel '75, titolo spagnolo e 2 coppe di Spagna col Real, prima della vendemmia sampdoriana: 2 coppe Italia (88 e 89), lo scudetto del 1990-91, la supercoppa, una coppa delle Coppe nel '90. Ha sentito il profumo della coppa con le orecchie, colpito al cuore dal Liverpool, quando nel 1981 guidava le merengues madrilene e poi dal Barcellona affrontato nel 1992 con la Sampdoria a Wembley. Ha insegnato ai nostri allenatori, perché Italo Allodi lo volle a Coverciano dove dirigeva la scuola che ha fatto epoca nel mondo del calcio. Andare a Genova per vedere lavorare il maestro Vujadin era il regalo più bello che potevano farti in redazione. Si andava allegri, anche perché non era lavoro, ma divertimento, accrescimento culturale, vederlo alle prese con quei geniacci di Luca Vialli e Roberto Mancini, guardarlo mentre catechizzava due tipi così straordinari, ma diversi come Briegel o Toninho Cerezo, stare dietro ai timori di Salsano, figlio adottivo, insomma vederlo costruire quello che è stato un grande capolavoro come ammetteva, magari, soltanto Paolo Mantovani, perché per i soliti italioti lui era il controllore di volo, ma le ali vere le davano i figliocci del presidente, due che hanno fatto storia anche dopo, come allenatori, anche se poche volte si sono ricordati di dovergli così tanto.
Loro sapevano che il solo talento non poteva bastare. Soltanto Boskov sapeva trovare sempre le parole giuste e anche quando pensava che la testa di molti giornalisti fosse buona soltanto per portare un cappello, non te la prendevi. Era un cinema paradiso e lui ti portava per mano a vedere Gullit che come cervo usciva da foresta, lui sapeva quando i suoi eroi facevano schifo («Oggi in campo sembravamo turisti, con la differenza che non ci avevano fatto pagare biglietto»). C'è un libro sugli aforsimi e le poesie di Vujadin Boskov. Lui era davvero quello che sapeva fare dell'ironia davanti ai maghi: «Cosa dico ai giocatori prima della partita? Andate in campo e sparpagliatevi». Quando gli angeli di Mantovani facevano meraviglie lui non si stupiva: «I grandi giocatori vedono autostrada dove gli altri si accorgono soltanto di sentieri». Immenso, immortale. Stupendo.

Salute maistore.

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