Allegri cambia e ricambia, ma il Milan è quello di sempre, quello delle ultime settimane. Un Milan deludente, poco reattivo, senza un'anima, incapace di apparecchiare giocate in attacco e finito sotto, nel risultato, a dispetto del suo dispositivo difensivo, prima volta a tre, rafforzato in modo simbolico. Ma è la solita storia della coperta corta, cortissima di questa squadra che non trova il riscatto e nemmeno una via d'uscita dal tunnel lunghissimo e buio: se copri il capo, rinforzando gli ormeggi, c'è rischio concreto di restare con i piedi al freddo.
E infatti nella prima ora di gioco, è vero che il Milan resiste nel fortino di Amelia ma quasi mai realizza adeguate controffensive. Solo quando il Malaga trova il varco giusto, nella ripresa, il Milan si decide a uscire dalla trincea e a tentare di risalire la china. A questo punto anche la qualificazione in Champions diventa un punto interrogativo. Al pari del destino di Allegri che continua a sbattersi, come mosca in un bicchiere capovolto, nel tentativo di ritrovare il bandolo della matassa. Ma certe scelte restano discutibili, molto discutibili. Come il rilancio di Constant, ad esempio schierato a sinistra nel centrocampo a 4. Come Acerbi a sorpresa apparso nel trio di sentinelle. Da approvare invece la decisione di spedire in tribuna Boateng: una lezione, chissà se utile, è necessaria. Il Milan resta dunque un groviglio inestricabile. E sabato c'è lo spareggio-salvezza col Genoa.
La fallita rivoluzione di fine ottobre comincia in una notte umida in Andalusia ed è tutta responsabilità di Max Allegri che decide, dopo qualche prova "segreta" a Milanello, di adottare la difesa a 3 che è poi un bel portone blindato richiuso dinanzi alla porta di Amelia. Sorprendono il sistema di gioco (dirottati in tribuna addirittura Zapata e Boateng) e un paio di scelte, la presenza sul fianco mancino di Constant e di Acerbi nel trio centrale, entrambi debuttanti in Champions, a dimostrazione che il tecnico livornese è alla ricerca disperata di una formula magica che rassicuri tutti. Come ogni novità improvvisata, la partenza è molto complicata, con un paio di incertezze: non è semplice recuperare al volo distanze, intese e meccanismi che hanno bisogno di collaudi ripetuti. La difesa a 3 che è poi una barriera a 5 con di De Sciglio da una parte e Constant dall'altra, toglie rotondità al gioco e schiaccia troppo il centrocampo davanti alla difesa: così prima di mettere fuori la testa dal pelo dell'acqua, il Milan pensa solo a chiudere ogni varco, e lo fa grazie all'assistenza di Bonera sulla torretta centrale e alla presenza di Montolivo che incarna il ruolo di leader del gruppo.
Una sola sortita rossonera (Emanuelson per El Shaarawy che non trova la porta) è la magra soddisfazione del Milan prima del rischio corso a fine primo tempo, col rigore di Joaquin sbucciato contro la traversa (intervento sventato di Constant su Gamez, provvedimento eccessivo dell'arbitro portoghese). Più avanti proprio Joaquin può rimediare all'errore con un golletto facile, facile su imbucata di Iturra cogliendo impreparato Acerbi e forse in ritardo lo stesso Amelia, autore, per suo conto, di un paio di interventi prodigiosi. Niente da dire sul suo conto. Arriva Pato dalla panchina ma l'esito non è esaltante, c'è posto anche per Bojan nel finale con uno schieramento tattico completamente diverso (4-2-4 addirittura) ma il risultato, sconfortante, è sempre lo stesso. Il Milan continua a perdere, e questa volta anche in Champions: nel finale arrembante, chiuso con 4 attaccanti in campo, sfiorato il pareggio con Mexes ed El Shaarawy. Ma è davvero poca cosa rispetto alle attese e anche alle aspettative.
Anche sul sistema di gioco si dimostra una verità fondamentale: non è la panacea di ogni male.
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