Cantù, la bella storia del ritorno in A guidata da un suo figlio

È la magia di coach Brienza, cresciuto come atleta e tecnico nel club canturino

Cantù, la bella storia del ritorno in A guidata da un suo figlio
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Dicono che per riprendersi la giovinezza basta ripetere le stesse follie. Nicola Brienza lo ha fatto risalendo le antiche scale della scuola canturina, dove era nato come giocatore e poi come tecnico, riportando in serie A, nel basket che dovrebbe contare di più, la sua vecchia società dopo 4 anni di santo purgatorio in A2.

Lo ha fatto dopo aver lasciato Pistoia da allenatore dell'anno in serie A, dopo capolavori con il poco che aveva, ma per amore si fanno anche follie. Serviva tempo per purificare l'aria, serviva l'energia di uno nato davvero nel Cantuki della famiglia Allievi, serviva un bella società guidata appunto dal Roberto, figlio di Aldo, un gruppo dove la coppia Santoro-Brienza, manager ed allenatore, supportata dal talento di Sem Bianchi, aiutata nei momenti difficili dallo staff medico, come ai tempi del professor Klinger quando Alfredo Broggi e Morbelli costruivano il grande castello, che ha recuperato McGee per superare il momento difficile, vedendo antichi fantasmi, prima di rivedere il sole, la coppa Italia dell'A2, la promozione per tornare nell'arena vera della serie A, seguendo un santo, lo sponsor di oggi è l'Acqua San Bernardo.

Tutto bello, ma adesso vuole anche una nuova casa dopo l'esilio nell'arena delle farfalle a Desio, dove, battendo Rimini, superata due volte nella casa sul mare e poi terza partita, davanti alla sua gente, ha rivisto il sole. Sarà pronto, questo palazzetto da 5000 posti l'anno prossimo, costruito ad un chilometro dal vecchio Pianella, l'arena della gloria dopo le battaglie alla Parini, dopo il primo scudetto nel '68 barricadero con Boris Stankovic, l'uomo che poi ha trasformato la federazione mondiale, e il giovane Recalcati, nato alla scuola Taurisano, altro pilastro nella storia di questa società, un artista che dietro al muro di Cantù ha conquistato il titolo e poi si è costruito una grande carriera come tecnico, l'ultima medaglia dell'Italia è il suo argento olimpico ad Atene 2004. Micione Charlie che ha lasciato il comando poi a Marzorati, Riva, la mente e il braccio per l'epopea Bianchini, il vate dell'immaginifico e le rivincite di Giancarlo Primo, maestro di una vera scuola italiana. Sono i due allenatori dei trionfi più grandi nella coppa campioni conquistata a Roma la prima volta nel 1982 e poi a Grenoble l'anno dopo. Una vecchia tifosa novantenne portava ancora il cappellino della vittoria beffa a Grenoble contro Peterson e Milano, tifando a bordo campo nella sfida decisiva contro la bella Rimini del Sandro Dell'Agnello che ha fatto davvero cose straordinarie con una squadra che aveva certo meno mezzi di chi l'ha battuta: prima Udine, altro grande ritorno in serie A e poi la Cantù che ha risolto tutto per sfinimento negli ultimi quarti delle sfide decisive. Grazie anche ai passaportati Basile, americano e azzurro, MVP della serie, e Riisma, estone di formazione italiana importanti insieme ai due stranieri McGee e Hogue, sostegni per i veterani De Nicolao, Baldi Rossi e, soprattutto, Moraschini.

Bel ritorno, bella storia.

Ora la società deve garantire a Brienza un futuro meno angoscioso, le basi ci sono, la squadra è stata costruita bene, i grandi derby lombardi ci mancavano, anche se troppo affollamento in poche regioni forse non aiuta davvero.

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