Caso Boateng: «Non si punisce la solidarietà»

Un altro bel calcione al razzismo. Dopo la pallonata sul campo di Prince Boateng, ecco quella sul terreno legale destinata a fare tendenza e a costituire una specie di avvertimento a chi pensa di rivoluzionare la storia di una partita con cori e messaggi a sfondo razzista. Trattasi della sentenza «illuminata» - come l'ha definita il Milan - che scagiona la squadra rossonera e il suo n.10 per aver abbandonato il campo nel match amichevole del 3 gennaio scorso contro la Pro Patria in segno di totale disapprovazione verso il comportamento di una frangia di tifosi. Una squadra infatti non può abbandonare il campo se non su indicazione dell'arbitro, ma «gli essenziali valori dello sport e la civile convivenza escludono che possa acquisire rilevanza disciplinare un gesto di solidarietà verso un uomo vittima di beceri insulti esclusivamente per il colore della pelle». Così il giudice sportivo della Serie A, Gianpaolo Tosel, ha dunque archiviato la posizione del Milan sul caso di Busto Arsizio dove Boateng (nella foto) e la squadra erano usciti dal campo per gli insulti al giocatore. Una decisione destinata a fare giurisprudenza: e a smentire chi pensava che se un gesto come quello di Boateng e del Milan si ripetesse in campionato, sarebbe scontato lo 0-3 a tavolino. Come si fa a condannare l'antirazzismo?, si chiede il giudice.

Il Boa incassa anche la solidarietà del presidente dell'Inter Massimo Moratti: «Ha fatto bene Boateng a lasciare il campo. Quello di Busto è stato un esempio pessimo di tifo. Pessimo davvero, anche se ridotto solo a 4 pirla».

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