Il caso Quagliarella e troppi silenzi

di Tony DamascelliF abio Quagliarella, in tribunale, ha detto cose tremende sui motivi che lo portarono ad abbandonare Napoli e il Napoli nel Duemiladieci: minacce di morte a lui e suo padre, lettere anonime, messaggi telefonici con l'accusa di essere un pedofilo, un camorrista e di partecipare a orge. Il fatto è gravissimo ma ancora più grave l'omertà e il silenzio del mondo del calcio e della stampa (al di là della pubblicazione della notizia), così sensibili, invece, a manifestare (giustamente) il proprio sdegno quando si tratta di episodi che sfiorano il razzismo e un altro tipo di criminalità. Sembra quasi che il Napoli bene abbia fatto a cedere il calciatore, evitandogli di restare in un ambiente così miserabile, invece di denunciare immediatamente i personaggi di questa vicenda, di smascherare chi del calcio approfitta, di liberare la squadra da questo ricatto continuo di veri delinquenti. Quagliarella riceveva insulti a Napoli, quando se ne andò alla Juventus; li riceve a Torino, dalla curva granata che non gli perdona di aver chiesto scusa, dopo un gol, proprio ai tifosi napoletani. Lo insultano non per il colore della pelle ma soltanto perché non è complice della ciurma, ma continua a fare il suo dovere. Questo al mondo del football non interessa. Non interessa che un professionista sia costretto a traslocare non per scelta tecnica del suo club ma perché qualche criminale lo minaccia e qualche ultras gli nega la possibilità di rivestire la maglia della squadra.

Le ragazze di Locri hanno trovato illustrazione dopo i ricatti della ndrangheta ma Quagliarella passa, non lascia traccia se non nel tribunale dove ha parlato come parte lesa nei confronti di un agente, pensate un po', della polizia postale autore di quei messaggi anonimi e schifosi. Nessun commento del sindacato calciatori, nessuno di De Laurentiis e Cairo, nessuno da De Magistris o Saviano. Silenzio, si gioca.

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