Il caso Le società protestano: «Tassa iniqua»

I nodi vengono al pettine. E per il calcio sono dolori. Una bomba più che un fuoco d'artificio di fine anno sul mondo del pallone. Questo può rappresentare il parere del Consiglio di Stato dello scorso 11 dicembre: «Applicate l'Irap sulle plusvalenze del calcio». Si tratta di una questione annosa che si trascina dal dicembre 2001, quando era stata sancita l'imponibilità delle plusvalenze. In ballo ci sono centinaia di milioni di euro frutto di decine di scambi all'anno fino al 2007, e a contenderseli da una parte c'è l'Agenzia delle Entrate e dall'altra i club. Un salasso che si andrebbe ad aggiungere agli oltre 800 milioni di tasse che il pallone già paga. E l'ex presidente della Covisoc, Victor Uckmar, non ha dubbi nell'intravedere ripercussioni pesanti: «Rappresenta un'ulteriore batosta. Si tenga conto che l'Irap si paga anche con i bilanci in rosso... Aggrava la situazione per tutte le squadre, soprattutto per chi ha fatto spesso uso di questo meccanismo».
Non a caso è il nodo fiscale più grosso, alcune big versano comunque l'imposta per non rischiare l'accertamento. Salvo poi chiederne la restituzione andando al contenzioso. Sulla plusvalenza c'è una visione diametralmente opposta delle parti: il Fisco ravvisa che il trasferimento è di fatto una cessione di contratto e quindi l'Irap è dovuta, per i club invece rappresenta la costituzione di un nuovo rapporto. Tra i due litiganti ecco il parere del Consiglio di Stato, svelato dal Sole 24ore, che sposa la prima tesi, secondo cui con la cessione del contratto viene ceduto il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo. L'ultima parola ora spetta alla Corte di Cassazione, ma per il Fisco è un punto di forza da far valere nei contenziosi.
Sono tanti quelli che vertono sulle plusvalenze di cui si inizia a parlare nei primi anni Duemila perché è attraverso questo “giochino” che il calcio italiano sistema i conti perché chi vende realizza immediatamente plusvalenza, mentre chi compra spalma il costo sulla durata del contratto. Più che sui top player, il meccanismo si basa sul trasferimento di giovani e sconosciuti, scambi senza passaggio di denaro. Si arriva a inventare lo spalma-debiti per diluire nel tempo l'effetto sui bilanci delle plusvalenze che toccano cifre record. Ad esempio fa rumore nel 2007 l'inchiesta della Procura di Milano su Inter e Milan, poi prosciolte perché il fatto «non costituisce reato». Le due società milanesi erano state protagoniste di tanti scambi.
Adesso il calcio italiano rischia di pagare un conto ben più pesante. Ezio Maria Simonelli, candidato alla Lega di serie A e coordinatore del tavolo di lavoro fra i club e il Fisco, indica una via d'uscita. «Le società si sentono tassate due volte - ha notato Simonelli -. Hanno sancito questo principio alcune decisioni di commissioni tributarie a favore ad esempio di Lazio e Cagliari, ma alla fine non tutti pagano l'Irap sulle plusvalenze. Ad esempio, il Milan lo fa e l'Inter no. Dovremmo importare il sistema Inghilterra, dove non sono tassate le plusvalenze se reinvestite».

La pensa così anche il presidente della Lazio, Claudio Lotito: «L'Irap è iniqua e mina la stessa competitività del calcio italiano». Quello che i dirigenti vanno ripetendo da sempre, Adriano Galliani su tutti. Almeno le tasse riescono a mettere d'accordo i presidenti del pallone.

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