Scusi Marcello Lippi, ma è proprio sicuro di voler anticipare il pronunciamento della corte federale e di dire no alla federcalcio?
«Certo. Valgono le parole e la spiegazione che ho riferito al presidente Carlo Tavecchio giovedì mattina. Ero entusiasta dell'incarico che mi era stato offerto per il club Italia ma io sono fatto in un certo modo. Se posso lavorare senza dovermi difendere tutti i giorni dai pettegolezzi e dai commenti maliziosi, se posso lavorare senza compromettere quello di mio figlio Davide che da dieci anni svolge la funzione di agente dei calciatori lontano da me, benissimo. Se così non è possibile come ho capito in questi giorni allora amen, mi tiro indietro».
Scusi l'insistenza Lippi, c'è la possibilità che lei possa cambiare idea?
«Assolutamente no. È già successo una volta, nell'estate del 2006, dopo il mondiale vinto a Berlino. E a quei tempi, potete immaginarlo, le pressioni per farmi restare sulla panchina azzurra furono fortissime. Ma ragionai con lo stesso criterio di oggi: avevo preso un impegno con Abete capo-delegazione che me ne sarei andato dalla Nazionale qualunque fosse stato il risultato finale del mondiale e ho tenuto fede alla promessa fatta. Sarà così anche in questa circostanza».
È possibile che lei torni a disposizione di qualche club sul mercato?
«Quale mercato, scusi. L'incompatibilità, se esiste, esiste sia per chi lavora in federazione tra un dt delle squadre nazionali, che poi sarebbe stato il mio incarico concordato prima di rivolgere il quesito alla corte federale, e un parente che svolga il lavoro di procuratore, sia per chi dovesse lavorare in un club che aderisce alla stessa federazione. Perciò non c'è nessun mercato, ho chiuso».
Perché non ha almeno atteso il dispositivo della corte federale?
«Per due motivi. Primo perché avevo letto che avremmo avuto il chiarimento tra il 21 e il 22 giugno e invece la data è poi slittata. Secondo perché, da quello che ho capito io, la soluzione finale sarebbe stata una modifica del mio ruolo da dt in supervisore la qual cosa di sicuro non avrebbe messo fine alle polemiche né ai veleni. In questo modo ho voluto anche tutelare la serietà professionale di mio figlio che da dieci anni lavora nel settore e deve difendere il proprio avvenire».
Della questione, sollevata dopo la firma del nuovo ct Giampiero Ventura scelto tra l'altro da lei, non si è mai parlato con la federcalcio durante la trattativa?
«Come sapete tutti, io ho lavorato in Cina, perciò lontano dall'Italia nell'ultimo periodo.
Quando sono rientrato ho detto chiaramente che mi avrebbe intrigato il lavoro con una Nazionale e avrei rispedito al mittente eventuali incarichi in un club. Mi ha chiamato il presidente Tavecchio e io ho risposto accettando con entusiasmo la proposta. Non sapevo nulla del nuovo regolamento. Mi faccio da parte perché non sopporterei illazioni sul mio lavoro».
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