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Ciotti, la voce del pallone tra corner, tabacco e canzoni

Dal «Profeta del gol» a «Veronica», usò la stessa prosa elegante nelle radiocronache e nei testi per Jannacci

Ciotti, la voce del pallone tra corner, tabacco e canzoni

L a Citroen ds 21 Pallas viaggiava verso Sant Boi de Llobregat, sede del ritiro della nazionale polacca e dello storico manicomio catalano. Il mondiale spagnolo avrebbe riservato gloria agli azzurri, a guidare il taxi c'era una signora bionda, di statura minuta, quasi scompariva affondata nel sedile del macchinone francese. C'eravamo persi, nella canicola di luglio e tra percorsi improbabili; Sandro, chinandosi verso la conducente, provò a dire, quasi in radiocronaca ma con una minaccia: «Mò ce fermàmo e preguntàmo». La tassista strabuzzò gli occhi, il resto dei passeggeri scoppiò a ridere, eravamo insieme con Lino Cascioli e Gianfranco Giubilo, questa la formazione alla ricerca dell'hotel perduto. L'ordine di Sandro Ciotti fu come l'annuncio di un calcio di rigore, mancava soltanto uno «scusa Ameri» e la scenetta sarebbe stata completa. Trovammo l'albergo, il taxi scomparve nell'afa. Del resto un episodio analogo, in puro stile ispanoitaloromanesco, era accaduto l'anno prima, quando la stessa comitiva, alla quale si era aggiunto Oliviero Beha, si era presentata al Balaidos di Vigo, lo stadio che avrebbe ospitato le prime partite della nazionale di Bearzot. I lavori del cantiere non erano ovviamente ultimati, provammo ugualmente ad entrare per ispezionare la tribuna e il campo di gioco. L'enorme portone centrale era chiuso, nessuna traccia di presenza umana o di quadrupede, cani e simili, silenzio angosciante. Una targa, in alto a destra dell'ingresso, segnalava Bomberos, (Vigili del fuoco). Provammo a bussare, rispose una voce cavernosa: «Quien es?», chi è? Ciotti fu il più pronto: «Nosotros». Idem come sopra, per la risata di gruppo. Sandro Ciotti è stato un raffinato frequentatore dell'arte della parola, virtù rarissima nel mondo del giornalismo contemporaneo, costruito sulla schiuma di neologismi ridicoli e ignoranti. Insieme, avevamo creato, il club del congiuntivo: «Vedrai - mi disse - nel tempo ci saranno sempre meno iscritti».

La sua prosa era perfetta, la narrazione mai faticosa, la sua «ventilazione irrilevante o inapprezzabile», il suo «stadio ai limiti della capienza» hanno fatto storia e poi leggenda. «Scusa Ameri» gli disse da Modena il collega Degl'Innocenti e Sandro replicò: «Sono Ciotti», «Sì, scusa Ameri» ribadì il confuso confusionario: «Sono sempre Ciotti» provò a far intendere ancora Sandro e allora Degl'Innocenti, in panico universale, proseguì «Scusa sono Ciotti», qui Sandro chiuse il dialogo kafkiano: «Cerchiamo di capire chi siamo, sennò andiamo male». Aveva superstizioni manifeste, tra queste, evitava di pronunciare il numero 17 e così fu: «Siamo giunti al minuto che intercorre tra il sedicesimo e il diciottesimo».

Era, per scelta, un uomo solo ma non certo solitario, amava il football, lo frequentava di testa e di cuore, lo giocò in campo con la Lazio, il Forlì e l'Anconitana; amava la musica, la frequentava di testa e di cuore, la sua genialità si riassume in Veronica, improbabile e geniale canzone, scritta con Enzo Jannacci: «Veronica, Amavi sol la musica sinfonica ma la suonavi con la fisarmonica. se non sbaglio stavi in via Canonica, dicevi sempre voglio farmi monaca ma intanto bestemmiavi contro i pré l'amor con te non era cosa comoda, né il luogo, forse, era il più poetico, al Carcano in pé».

Sandro suonava il violino, così aveva imparato al Conservatorio, diplomandosi. A parte Jannacci, in testa a tutti, per lui, ci stava Bruno Martino con Estate, la migliore di qualunque altra composizione musicale. Va da sé che Salvatore Accardo fosse il suo Nobel personale.

Dunque non soltanto corner e contropiede ma la compagnia bella e pazza di attori e cantanti, donne e tabacco, partite di scopone scientifico, la vita notturna con Tenco e Fred Buscaglione e l'amicizia con i profeti del gol, Cruyff (film così titolato), Sivori, Maradona, Rivera (per Sandro come Nat King Cole), Platini (come Astor Piazzolla), usciti dalla sua lampada di Aladino per soddisfare capricci e sogni.

Teneva, nella casa romana, un tavolo con un piano in cristallo, sotto il quale aveva infilato, per collezione e affetto, biglietti, accrediti, memorabilia della sua carriera tra Tour de France, Giri d'Italia, Olimpiadi, Festival della musica leggera, quarant'anni di parole. A Sanremo, Ciotti viveva da osservatore privilegiato, conoscendo la musica e la musicalità, la forza interpretativa, i testi, la personalità del cantante, intuendo l'artista, smascherando il bluff. Fu così la sera in cui gli toccò di annunciare l'entrata in scena dell'arlecchino punk Alberto Camerini che avrebbe interpretato La bottega del caffè: «E' ora la volta di Alberto Camerini che dovrebbe rientrare nei medesimi».

Scoprì Tenco quando Luigi contava venticinque anni e già fuggiva dalla ribalta, lo provocò dicendogli che alcuni lo confondevano, per rima, con Fidenco. Sarebbe poi nato un legame profondo, tagliato di netto la notte del suicidio che per Sandro, tale non fu ma assassinio.

La sua voce di ruggine, il nodo della cravatta gonfiato a mille atmosfere, il collettone a punta della

camicia, lo resero, insieme con Beppe Viola, estraneo o diverso dalla comitiva degli uomini Rai, mamma alla alla quale restò comunque affezionato. E che, come spesso accade, lo ricorda a fatica. Se non, affatto.

(2. Continua)

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