Claudio Sala, 70 anni da "Poeta del gol". "Vorrei più fantasia e i numeri da 1 a 11"

"Bravo Cairo: tenere Belotti un grande merito. Anche se Zappacosta..."

Claudio Sala, 70 anni da "Poeta del gol". "Vorrei più fantasia e i numeri da 1 a 11"

Settant'anni da festeggiare in famiglia. Con il Toro nel cuore. E qualche rimpianto sparso qua e là. Claudio Sala, ovvero il «Poeta del gol», sapeva come dare del tu al pallone: tanti gol di Pulici e Graziani sono arrivati grazie ai suoi assist, anche in azzurro.

Partiamo proprio dall'Italia: che sensazione ha avuto nel vedere gli azzurri travolti dalla Spagna?

«Brutta, certamente. Ma loro ci sono stati superiori in tutto. Il 4-2-4 è rischioso, soprattutto contro squadre che sulla carta ti sono superiori. Ventura, dovendo vincere, avrà pensato che fosse inutile coprirsi troppo: ha rischiato, gli è andata male».

Perché ci sono giocatori che nel nostro campionato paiono super e poi in nazionale faticano?

«Confermarsi non è mai facile, specie quando cambia il contesto. Lo so bene, perché è successo anche a me. Nel club ci si conosce perfettamente e si è del tutto a proprio agio: in azzurro no e gli errori non sono quasi ammessi».

Insigne, per esempio, ha ricevuto tante critiche per di più vestendo la 10.

«Lui sa fare tutto e lo ha già dimostrato. Una partita storta può capitare».

Lei ha indossato tutte le maglie dal 7 all'11: è motivo di orgoglio?

«Decisamente. Significa che potevo ricoprire più ruoli e che non avevo problemi a portare anche maglie pesanti. Quando portavo la 10, tanto per dire, in azzurro avevo davanti Rivera e Mazzola. Passato poi alla 7, ho trovato Causio».

Oggi la numerazione è quasi un optional: le piace?

«Per nulla. Fosse per me tornerei a quella classica, anche per il fascino che aveva imparare a memoria la formazione tipo».

Il calcio di una volta era più ricco di cosa?

«Fantasia. Ne eravamo pieni. Ai Mondiali del 1978, in Argentina, il Toro aveva tutto l'attacco convocato, ma nessuno era titolare perché davanti a noi avevamo mostri come Rossi e Bettega. Uno come Pulici, per dire, ha fatto due Mondiali senza mai giocare».

Ha dei rimpianti legati alla sua esperienza in nazionale?

«Avrei voluto giocare qualche partita in più dall'inizio, potendo avere anche il tempo di sbagliare. Di sicuro, in Argentina avremmo meritato di più: partimmo alla grande ma arrivammo un po' cotti, il contrario di quanto accadde poi nel 1982».

E legati al Toro?

«Avremmo meritato il secondo scudetto di fila, sarebbe stata un'impresa epica: purtroppo, dopo avere vinto nel 1976, non ci bastò fare 5 punti in più l'anno successivo perché, in un campionato a 16 squadre con due punti in palio per vittoria, la Juve ne fece 51 e noi solo 50. Ma sfiorammo il titolo anche nel 1972, con Giagnoni in panchina».

Cairo le piace?

«Ha i bilanci in perfetto ordine e sta vicino alla squadra: si vede che ci tiene e quest'anno l'obiettivo Europa League può essere raggiungibile. Ogni tanto però dovrebbe investire qualcosa in più: Zappacosta al Chelsea l'ultimo giorno di mercato, per esempio, ha lasciato un po' di amaro in bocca. Però ha tenuto Belotti, quindi non gli si può dire nulla anche perché è fondamentale avere i conti in ordine: non dimentichiamo che non troppo tempo fa il Toro è fallito».

Dovesse dargli un voto?

«Sette e mezzo».

Di Belotti che ne pensa?

«Non credevo potesse arrivare a certi livelli, lo ammetto. Segna in tutti i modi e la rovesciata contro il Sassuolo, per quanto mi ha ricordato Pulici, mi ha fatto venire i brividi».

E di Mihajlovic?

«E' un tipo sanguigno che privilegia la fase offensiva: se vinciamo 4-3 invece che 1-0, va bene lo stesso. Gioca per vincere: per questo piace».

C'è un giocatore che le piace più di altri?

«Ljajic, anche se non è molto continuo. Ma ha grandi giocate e fa più gol del sottoscritto».

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