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Colbrelli, l'uomo di fango non credeva in se stesso. Ora è il re della Roubaix

Sonny vince all'esordio. Non la dominavamo dal secolo scorso. "Mi creavo limiti che non avevo"

Colbrelli, l'uomo di fango non credeva in se stesso. Ora è il re della Roubaix

Al ballo dei debuttanti è l'ospite d'onore, il più gradito e acclamato di tutti. Sonny Colbrelli prima balla con sicurezza su quelle pietre rese viscide dalla pioggia e dal fango, poi grida la sua gioia, mista allo stupore di aver vinto la regina delle classiche al primo colpo, al debutto in una corsa che spesso respinge anche i suoi re.

Sonny Colbrelli è una maschera di fango, ma è anche l'immagine della gioia, di quegli uomini che non hanno avuto tutto e subito, ma si sono costruiti un po' per volta, con pazienza e umiltà: forse pure troppa. Ma questo 31enne ragazzo bresciano, tosto e gentile, è fatto così: prendere o lasciare. Non lo cambi più, anche se poi è cambiato, soprattutto nella testa. «Ho perso quasi 3 chili quest'anno, ma non pensavo di potermi proporre su questi livelli. In passato, mi era capitato di scendere sotto i 72... ma a dir la verità non andavo avanti. Il peso non era tutto, ma era la testa forse a mancarmi».

L'uomo della pioggia, così è chiamato in gruppo per le sue indubbie doti quando le condizioni meteo sono estreme, per anni è stato considerato l'eterno secondo anche terzo. In carriera trentaquattro vittorie, ma trentanove sono i secondi posti. «Mi dicevo: non ce la faccio, ma era solo un limite che mi creavo. Ho lavorato con un mental coach, Paola Pagani. Questi incontri mi hanno molto aiutato e ora mi sento consapevole della mia forza».

Sonny Colbrelli si regala un'edizione memorabile (oltre che inedita per il calendario) della classica del pavè, già dura di suo e resa infame da fango e dalla pioggia. Sei ore di battaglia, prima dello sprint finale, dove piega la resistenza del 22enne belga Vermeesch (altro debuttante, ndr) e del grande favorito Van der Poel. Urla di gioia, che sembrano un grido d'amore per uno sport che adora e che negli anni gli ha riservato anche tante amarezze. È lui a cancellare il nostro digiuno che durava dal secolo scorso (Tafi, 1999) e consente al ciclismo azzurro di tornare a vincere una corsa monumento due anni e mezzo dopo il Fiandre di Alberto Bettiol. Ma in questa giornata di grande ciclismo, c'è anche tanta Italia. C'è anche lui, Gianni Moscon, che alla Roubaix era già arrivato 5°. Ieri ci arriva vicino, vicinissimo, ma a negargli l'impresa è soltanto lo spietato uno-due della sorte. Prima una foratura e subito dopo una caduta quando è solo al comando a poco più di 30 km dal traguardo e chiude ai piedi del podio.

«È stata una corsa fantastica ha detto ebbro di gioia il bresciano -, ho sempre corso davanti, ho attaccato a 90 km da Roubaix poi nel finale ho seguito Van der Poel sul pavè. E nel velodromo volevo stare alla sua ruota, poi Vermeersch è partito e mi sono prontamente accodato, negli ultimi 30 metri l'ho saltato e ho vinto.

È un sogno che si realizza, dopo anni di continua crescita», dice il signore di Roubaix, che finalmente si è tolto la maschera di fango e il suo sorriso illumina la lunga serata di Roubaix, in un tramonto di struggente bellezza.

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