di Mario Celi
La metafora, Giovanni Malagò, l'ha azzeccata subito. Da appassionato di calcetto e calcio, sport che peraltro voleva eliminare dalla giunta, ha paragonato la sua impresa a una vittoria in trasferta. E che vittoria e che trasferta: Brasile-Uruguay 1-2, 16 luglio 1950, il disastro del Maracanazo (dizione obbligata spagnola dopo il trionfo e la batosta). Malagò ha saputo sfruttare al meglio demeriti e debolezze dell'avversario: un'investitura che secondo Pagnozzi doveva un po' scendere dal cielo (grazie ai vent'anni di Coni, le medaglie olimpiche, i finanziamenti), l'alone non proprio brillante di Petrucci di cui il segretario generale era ed è emanazione diretta, la mentalità un po' troppo dirigista, persino la fiducia erroneamente riposta in quelli che sarebbero dovuti essere i suoi grandi elettori. Addirittura la gaffe involontaria di Carraro presidente dell'assemblea («Sulla scheda troverete i nomi di Petrucci e Malagò») gli ha probabilmente dato una mano.
La necessità del cambiamento, del rinnovamento, se non proprio della rottamazione del vecchio gruppo dirigente, è apparsa evidente nei risultati. L'imprevedibile e l'imprevisto si sono realizzati. Colpa o merito dei «traditori», franchi tiratori, chiamateli un po' come volete. Insomma di quanti non hanno mantenuto la promessa di voto fatta a Pagnozzi. Soliti giochetti, nulla di nuovo: gente che era andata alla cena organizzata da Pagnozzi e alla fine di era riversata nell'albergo che ospitava Malagò.
Il nuovo presidente ora però si trova davanti il problema più serio. Il Coni è una scatola vuota. Se avrà bisogno di un cellulare, di una segretaria, di un biglietto aereo, dovrà rivolgersi a Coni Servizi, ente vigilato dal ministero dell'Economia che agisce in nome e per conto dell'Ente Coni (vigilato dal ministero dello Sport). E per un anno e mezzo Coni Servizi sarà ancora guidato da Petrucci presidente e Pgnozzi amministratore delegato. Finora, i problemi erano risolti dalla comune guida dei due enti. Da domani si vedrà cosa può accadere.
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