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il commento 2 Un mattatore ma non c'entra con Mourinho

di Tony Damascelli
Chi ha visto o ascoltato la conferenza stampa di Antonio Conte dovrebbe avere capito quale sia il valore aggiunto, dicesi carisma, dell'allenatore che ha ottenuto, negli ultimi anni, due promozioni dalla serie B alla A e uno scudetto. Conte ha sfogato la sua rabbia disperata, sicuramente sarà deferito per alcuni passaggi del suo intervento, ma ha detto alcune verità dinanzi alla quale il tifo non c'entra. Da sette mesi è l'uomo delle scommesse ed è complice di illeciti (così insinuò il giudice Sandulli) anche se non risulta agli atti. Proprio alla luce della sentenza ultima e delle parole del giudice di cui sopra, praticamente la sua carriera è bruciata, dall'insinuazione, dall'illazione, dal sospetto che per il popolo calcistico è certezza, è verità assoluta, come era assoluta, fino all'altro ieri, la credibilità di Pippo Carobbio, il Ciancimino di questa storia. C'è chi avvicina la reazione sanguigna di Conte a certe posture di Josè Mourinho ma il portoghese recita una parte da sempre, è nella sua educazione, nella sua astuzia, nella sua forza vincente e convincente. Antonio Conte ha parlato in conferenza come usa fare nello spogliatoio, per dire agli altri quello che dice a se stesso. Di certo è mattatore, sa trascinare il suo gruppo come il professionista di Setubal ma trattasi di uomini e figure diverse e distanti. Conte non è un martire, non è una vittima ma è il bersaglio centrato dal Palazzo (e dal Palazzi) che così facendo pensa di essersi messo la coscienza a posto. Era accaduto nel duemila e sei, era accaduto in tangentopoli, eliminata la punta pericolosa dell'iceberg, il resto della comitiva poteva e può continuare a spassarsela, con la protezione di una parte della stampa. Al corteo dei sepolcranti si è aggiunto anche il presidente del Coni che, senza citare Juventus e Conte, li ha ammoniti a tenere giù le mani dai giudici. Gianni Petrucci deve aver avuto un momento di amnesia. Qualche settimana fa, commentando l'argento olimpico di Cammarelle, la pensava diversamente: «Per noi ha vinto l'oro, tutto il mondo ha visto l'incontro, il verdetto non rispecchia il risultato del ring». Coni e Federcalcio in questi ultimi sei anni nulla hanno detto sui giudici distratti o sulle indagini part time e imparziali di calciopoli. Scomparsi gli Agnelli la festa si è fatta grande.
Antonio Conte non va ko, non getta la spugna suggerita dai suoi astutissimi legali d'avvio e non ha concluso la battaglia che non è personale.

Non siederà domani in panchina, anche se gli avvocati hanno annunciato (all'insaputa dell'ufficio stampa della Juventus che aveva smentito decisamente l'ipotesi «frutto di invenzione giornalistica») la richiesta di sospensiva. La commedia prosegue, il caso non è affatto chiuso, mentre il popolo antijuventino stappa spumante e prepara gli insulti. Viva l'Italia. O no?

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