di Franco Ordine
A volte ritornano. Nel Milan berlusconiano è accaduto molto spesso e con risultati non sempre esaltanti: confrontare il rendimento nel caso di Gullit, Simone e Shevchenko, non invece con Donadoni e Costacurta. Eppure è un segnale che lucida la brillantezza del marchio e sottolinea il legame umano, indissolubile, che si instaura dalle parti di Milanello. Adesso è il turno di Riccardino Kakà, rimasto nel cuore dei tifosi rossoneri: per lui coniarono un coro strappa-lacrime («non si vende Kakà») durante Milan-Fiorentina, organizzarono un sit-in sotto casa in zona Fiera per festeggiare il no al City e vissero il trasloco a Madrid, nell'estate successiva, come un lutto. Anche in questo caso, come per Beckham, è Kakà che sta cercando, disperatamente, di tornare a Milano. A costo persino di rinunciare a una fetta consistente di stipendio. Evidente il motivo: a Madrid non ha mai sfondato, con Mourinho non ha mai legato, non ha trovato un posto fisso e così sta correndo il rischio di perdere il tram per il mondiale del 2014 che è diventata l'ossessione dei calciatori brasiliani.
A questo punto gli interrogativi sono tutti legittimi: che c'azzecca Kakà con la politica dei giovani? Può tornare ancora utile Kakà? Meglio parlar chiaro: il Milan è disponibile a concludere la trattativa solo a condizioni vantaggiose (prestito dal Real e stipendio dimezzato). Ancora: Kakà, difficilmente, può tornare il fuoriclasse che vinse il Pallone d'Oro nel 2007 trascinando da solo o quasi il Milan a vincere Champions e mondiale per club. Ma può fare da richiamo per sponsor e rilanciare l'immagine nella platea internazionale. Sul contributo di Riccardino, rimasto in eccellenti rapporti con molti esponenti della squadra, è lecito confessare qualche dubbio. Non gioca da due anni, non è mai tornato il trascinatore che fu con la maglia rossonera, avrà bisogno di giocare in modo continuo per riacquistare uno straccio di condizione.
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