Non è un déjà vu. È un'altra storia. Antonio Conte e Beppe Marotta. Otto anni dopo. Identica posizione alla prima conferenza stampa, il dirigente seduto alla sinistra dell'allenatore. Una sola, enorme differenza: allora la Juventus, oggi l'Inter. La nuova sede nerazzurra, nell'avveniristico quartiere di Porta Nuova, ha una terrazza da dove si domina Milano. Conte parla al piano di sotto e se guarda a sinistra vede la storia interista raccontata dalle coppe vinte. E poi c'è la sua, di storia, fortemente a tinte bianconere. «Conoscete il mio passato, non sto a tediarvi», dice a un certo punto l'allenatore nerazzurro.
L'inizio è soft, non alla Josè Mourinho per intenderci. Conte appare ingessato, la voce non cambia mai di tono. Nella sala il convitato di pietra ha un vestito bianconero. La Juventus la cita solamente alla sesta risposta, prima è solo «una squadra con cui si è creato un gap enorme» e «una squadra che fa un campionato a parte da otto anni». I tempi sono contingentati, c'è fretta di mettersi al lavoro, di andare in ritiro a Lugano. Le domande sul suo passato con la Signora da pesare, ma quando arriva Conte ammette che tornare allo Stadium da condottiero della grande nemica gli provocherà «una grande emozione». Discorso sul professionista a parte, la dejuventinizzazione richiede tempo anche se all'inizio abbozza: «È stato facile scegliere l'Inter, abbiamo la stessa visione, la stessa ambizione». Poi aggiungerà che quella squadra con cui ha vinto tutto da giocatore e allenatore «sarà un'avversaria come le altre». Da battere. Ai tifosi interisti promette solo una cosa: «Daremo tutto noi stessi».
Il limite da far dimenticare di Conte per un'Inter senza limiti. La sua parlata non cambia mai ritmo, ma i concetti pesano. Sono un mantra. La cultura del lavoro, la maglia sudata alla fine di ogni partita, il «noi» anteposto sempre e comunque all'io «perché l'obiettivo è dare stabilità». Tradotto normalizzare la pazza Inter con la continuità. E poi la ricetta: «Serve ferocia se vogliamo fare una grande stagione». E traccia l'identikit ideale dei suoi soldati: «Cerco buoni giocatori e uomini straordinari». «Io non pongo limiti, altrimenti creerei alibi», dice Conte, che poi lancia lo slogan: «Testa bassa e pedalare. Questo è il periodo delle chiacchiere, noi dobbiamo lavorare tanto e parlare poco. Chi non ha fame si faccia da parte». Il passato che torna è per lanciare gli obiettivi: «Nulla è impossibile». Anche lo scudetto: «Alla Juve arrivai dopo due settimi posti e vincemmo il campionato. Al Chelsea arrivai dopo un decimo posto e vincemmo il campionato». Questo a proposito dell'io prima del noi. Così si prende la responsabilità di «dover indicare la strada del successo. Mi basta la percezione di avere anche solo l'un per cento di possibilità di vincere».
Il Conte mono-tono manda messaggi. Marotta l'ha presentato come il grande acquisto dell'Inter, ma risponde secco: «I top player servono in campo». Parole che tradiscono anche una fibrillazione per un mercato che procede a rilento. Avrebbe voluto avere una squadra già definita. Invece a parte la difesa, non a caso l'unica concessione tattica è sul modulo con tre centrali (dimenticato Miranda nell'elenco contiano, un caso o no?), il resto è un cantiere. Addirittura l'attacco ha una sola punta, persino fuori dal progetto. «Su Icardi e Nainngolan mi sono totalmente allineato alla volontà del club perché dobbiamo essere un'unica cosa», rivela Conte che parlerà con i due in queste ore. Ma quando gli si chiede di Perisic aggiunge: «Chiedo disponibilità da parte di tutti. Se qualcuno non dovesse essere su questa lunghezza d'onda, amici come prima e si faranno altre scelte». Dopo l'ex capitano e il Ninja, il croato è avvisato.
Nasce all'insegna della linea dura la prima Inter di Conte, che è anche la prima Inter di Marotta anche se l'ad è nerazzurro da sette mesi. «Sono entrato in punta di piedi», curioso pensando ai casi Nainggolan, Icardi e al cambio di tecnico.
Quel Luciano Spalletti che per due anni di fila ha centrato l'obiettivo Champions. «Mi lascia una buona base», ammette l'allenatore salentino. Anche per questo, otto anni dopo, per Conte e Marotta, dall'Inter alla Juventus, non è un déjà vu, ma un'altra storia.
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