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Conte fa impazzire l'Inter. Ora licenziamento o resa

Il tecnico contro Zhang e Marotta. Delle due l'una: via per giusta causa o ammissione di debolezza

Conte fa impazzire l'Inter. Ora licenziamento o resa

Delle due l'una: o l'Inter licenzia, per giusta causa, Antonio Conte o, nel caso dovesse tentare la carta diplomatica, o provasse a mediare, darebbe ragione allo stesso allenatore, dichiarandosi debole e assente. Le parole del coribante salentino non hanno bisogno di spiegazioni, correzioni, rettifiche, sono state pronunciate e ribadite, ancora una volta, con il tono lagnoso, furbetto, provinciale del dico ma non rivelo, denuncio ma non svelo che fanno parte del repertorio del tecnico, dalla fondazione del suo impero, da Arezzo fino alla Pinetina di Appiano Gentile. Chi prende Conte prende il pacchetto completo, l'arroganza, l'ambiguità, la frenesia maniacale, la professionalità sul campo e l'imprevedibilità caratteriale. Conte non ha la cultura di Mourinho, non possiede l'equilibrio di Allegri, il carisma di Zidane, il suo stato d'ansia aumenta nelle difficoltà. Nello sfogo di sabato notte ha detto di avere ricevuto palate di cacca, lui e la squadra, e di non essere stato mai protetto dal club. Basterebbe portargli l'esempio del suo collega Sarri che, per tutto l'anno, ha sopportato, non palate, ma caterpillar di materiale vario ed è arrivato a conquistare lo scudetto e a portare avanti, almeno finora, la squadra in champions league, cosa non riuscita al salentino, il quale avrebbe brindato a champagne l'eventuale titolo della Lazio o dell'Atalanta ma non quello bianconero che per lui è sabbia nelle mutande, scheggia di vetro in gola.

Forse la Juventus ha protetto Sarri? Forse Nedved, Paratici e Agnelli hanno preferito vederlo sommerso dalle critiche, così come, sostiene Conte, avrebbero fatto Marotta e Zhang? Perché l'attacco alla società, ovviamente senza fare cognomi secondo il suo stile, ha questi bersagli, l'amministratore delegato che sarebbe debole e il presidente che «sta in Cina». Per fortuna di Conte, la presenza costante a Milano della famiglia Zhang avrebbe avuto conseguenze differenti, anche se la mentalità cinese non è quella del conflitto e della litigiosità volgare. Se Conte Antonio fosse dotato di una vera «visione» (sono sue parole) dovrebbe, per dignità, presentare le dimissioni irrevocabili, rinunciare ai denari che gli vengono garantiti dalla società assente e debole. Invece ripete la commediola di Londra, per portare a casa il massimo dovuto dal contratto o addirittura costringere alle dimissioni Marotta (la cui posizione, se non saranno prese decisioni, risulterebbe fragile). Non sarebbe nemmeno questo il problema per Suning, venti o più milioni sono una boccata di ossigeno per uscire da questo gas tossico e liberarsi del triste, solitario y final, leccese.

L'Inter non merita un simile epilogo, non lo meritano i suoi tifosi, non lo meritano i dirigenti che però avrebbero dovuto essere consapevoli del rischio dell'all inclusive. Anche durante il periodo juventino Conte fu capace di lamentarsi del lavoro svolto da Agnelli, Paratici e Nedved, a volte definiti «scappati di casa». L'ultimo lamento è avvenuto in diretta televisiva e non nella sede opportuna; Fabio Capello, in studio durante l'intervista, ha tentato di provocare una reazione: «Avresti detto le stesse cose se fossi stato alla Juventus?». Conte, in evidente off side, non ha risposto, ha evitato l'argomento, ha preferito parlare d'altro, rinviando ogni riflessione a fine stagione.

Riflessione? È lui per primo a scegliere la passione e non la riflessione, lo sanno i suoi calciatori, ex e contemporanei, è un merito, è una dote ma Conte non cerchi di portarsi appresso il popolo dei tifosi che è abituato a scudetti, coppe europee e mondiali, a Suarez, Mazzola, Corso, Facchetti, Boninsegna, Rummenigge, Matthaus, Ronaldo, Vieri, Roberto Carlos, Herrera, Mourinho e non ha certo bisogno di riscoprire il calcio grazie a un ex juventino di sangue e di curriculum.

Si aspettano novità, serie.

Se non ci saranno, avrà perso l'Inter e avrà vinto un perdente.

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