Conte vede Napoli e poi vince. Amato, odiato, vagabondo

Maniacale sul lavoro, meridionale sui generis e da sempre in lotta contro tutti... Anche se stesso

Conte vede Napoli e poi vince. Amato, odiato, vagabondo
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Vedi Napoli e poi vinci. Antonio Conte non ha letto i testi di Goethe ma ha scoperto, pure lui uomo del sud, il fascino unico, esclusivo di una città senza confine e, assieme, i capricci fantastici della squadra di calcio. Vittoria, è il nome anche di sua figlia, un destino comunque cercato, voluto, inseguito, sofferto con quel carattere ombroso che lo fa amare prima e odiare dopo, nel momento dell'abbandono, dal popolo dei tifosi, Torino, Londra, Milano e infine Napoli, trionfi simili, risultati forse prevedibili ma poi gioiosamente imprevisti, contro tutto e tutti, contro se stesso, le sue paturnie, le diffidenze, uomo leccese di sole, mare e vento, salentino di razza uguale ad altri migranti verso il nord, Carmelo Bene su tutti e, nel calcio, il barone Franco Causio e o' animale Pasquale Bruno, gente di terra e di mare, uniti nella sfida a nemici nascosti, sconosciuti, invisibili.

Antonio Conte ha riportato a Napoli la voglia di vincere e, insieme, l'impegno di non bruciare il talento e l'energia di una terra che aveva incantato poeti e scrittori prima di rendersi aspra con la sua Gomorra niente affatto letteraria. Maniacale sul lavoro, virtù questa rara per il meridionale avvolto dall'ozio del clima, della luce, del caldo sole, del profumo di mare, attento al dettaglio, non uno spacciatore di tattiche ma sicuramente carico di un ego spropositato secondo il quale gli altri devono imparare sempre e, soprattutto da lui medesimo che del pallone ha conosciuto sangue, sudore e polvere, non essendo nato imparato. Da Boniperti, che lo volle a Torino nell'autunno del '91, apprese il sacrificio sul campo, non soltanto il giorno manifesto della contesa ma durante il tempo diverso che diverso non deve mai essere al punto che illustri atleti, anche campioni del mondo, passati alla sua scuola, non riuscivano a fissare un appuntamento dal dentista perché lui, il mister, a tarda sera cambiava orario dell'allenamento del giorno dopo, appunto per evitare che furbescamente qualcuno si distraesse in turismo e amenità varie. Così fece a Torino, con la Juventus, così a Londra con il Chelsea, così con la nazionale azzurra nella quale fu tradito dalla presunzione sciocca di un altro patriota salentino, Graziano Pellé, rigorista sfacciato e fasullo contro sua maestà Neuer. Così all'Inter, un po' meno al Tottenham dove, per l'appunto, i londinesi non avevano letto e studiato i testi sacri di lavoro e dunque il ricco italiano poteva accomodarsi, ben pagato, come altri cento, prima e dopo di lui, alla corte degli Spurs.

L'uomo ha facce diverse, non una come è l'allenatore di chiara identità, l'uomo vive di troppe ubbie, riesce a trasformarsi nel viso e nella postura, passando dal silenzio permaloso all'urlo straripante, alla danza forsennata come usava muoversi il coribante, sacerdote delle divinità greche che poi è anche nome di un vino rosso salentino, blend di Syrah e Malvasia nera appassita di Lecce. Va preso per come è, Conte Antonio, quel rissoso irascibile, carissimo Braccio di ferro che al posto degli spinaci si esalta con il pallone, guai a portarglielo via, a metterne in discussione il valore ed il significato.

Napoli lo ha adottato, come da sempre nella culla sociale e culturale ha saputo accogliere chiunque ne avesse le doti, la diffidenza iniziale, causata dal sito di partenza e di origine calcistica, l'odiata e odiosa Juventus, ha passato a nuttata e così Conte è Beato Antonio da Lecce, da celebrare ma a distanza perché altri sono i santini, quelli sacri e quelli profani, Gennaro e Diego per chi non lo avesse capito. Inutile, adesso, pensare di riassumere quello che sta capitando nelle strade di Napoli, la fantasia più scatenata non arriverebbe a descrivere e a raccontare lo spettacolo sul palcoscenico di questa città teatro. Antonio Conte sa benissimo di essere l'attore principale di questa recita di popolo.

Nessuno sa, però, che cosa potrà accadere domani e nei giorni che verranno, la festa non si fermerà e tra i coriandoli e i botti pirotecnici ci sarà un uomo infine solitario, gli toccherà sciogliere il nodo del proprio futuro, da marinaio astuto e pronto a garantire amore dopo ogni approdo. «Se volete fare qualcosa di buono, fuitevenne a Napoli, fuggitevene da Napoli» (Eduardo De Filippo).

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