È tutto merito della leggerezza. La leggerezza suggerita da Vincenzo Montella dopo anni vissuti sotto il macigno di aspettative gigantesche e responsabilità ancora più pesanti. Così il Milan sbarazzino, dopo un bel tot, è risalito nei quartieri alti della classifica, un tempo nemmeno molto lontano suo domicilio abituale, fino a raggiungere il secondo posto e ad aspettare la Juve senza l'incubo di andare incontro a un distacco chilometrico dalla prima della classe e all'ennesima sconfitta. «C'è tanto da lavorare ma ci divertiremo molto» è il pensiero leggero di Montella riuscito in poche settimane a correggere i primi errori di calcoli tattici (difesa poco protetta, terzini schierati a mò di ali) e a rendere quasi un giro al luna park la consacrazione di Calabria oppure il rodaggio di Locatelli, due esponenti della cantera rossonera che è forse il risultato più sorprendente e più esaltante di questo inizio di stagione. Con la stessa squadra di Mihajlovic, rinforzata dal ritorno di Paletta (prestito all'Atalanta) e dal rilancio di Suso (al rientro dal collegio genoano di Gasperini), con il contributo sporadico di Lapadula, Sosa e Gomez, e un centrocampo menomato (fuori per ko Bertolacci, Mati Fernandez e ora Montolivo), il divario tra una stagione e l'altra è sempre più evidente.
È bastata allora la leggerezza, seguita da un addestramento al calcio propositivo con un pizzico di stabilità difensiva studiata dopo le 4 sberle ricevute dal Napoli di Sarri, per cancellare le antiche paure, gli incubi del passato e anche qualche accenno evidente di panico (col Toro nel finale alla prima) e ritrovare questo Milan così come studiato e immaginato da Silvio Berlusconi in tempi non sospetti. Già, il Milan di Berlusconi. «Lui l'ha voluto così» continua a ripetere Vincenzo Montella e non è un omaggio dovuto al patriarca di questa squadra ma il contributo necessario per ristabilire un briciolo di verità storica, spesso calpestata dagli strali di critici e tifosi, maltrattata dal giudizio sul conto di calciatori che non sono diventati all'improvviso dei mostri di bravura.
A conferma della sensazione che il presidente non si comporta come se si trovasse nella terra di mezzo tra un'epoca piena di allori e la prossima colma di incertezze, Silvio Berlusconi ha chiamato tre volte Adriano Galliani domenica per avere notizie e conferme sul conto del Milan: di primo mattino, poi all'intervallo della sfida col Chievo e a fine partita per salutare il successo e il secondo posto raggiunto grazie anche alla resa di un ragazzo nato a Lecco, finito tra i pulcini dell'Atalanta e poi finito al Milan e adesso blindato con un contratto fino al 2020 firmato con Galliani pochi giorni prima di Verona. Di Locatelli il presidente cominciò a parlare un anno e mezzo fa quando era ancora uno sconosciuto persino per i cronisti del settore giovanile. Adesso che lo vede muoversi come un ballerino, tra i ceppi dei rivali, è il primo a far festa e a pensare che quel programma («faremo un Milan di giovani a maggioranza italiana») non fu uno slogan elettorale ma un'altra missione impegnativa affidata a Galliani preso di mira quando c'è da trovare un colpevole e ignorato quando c'è da segnalare qualche merito.
Prima l'idea regina, dunque, poi il coraggio di scelte impopolari, infine l'arrivo di un tecnico che predica la leggerezza oltre che un calcio piacevole e nel frattempo, zitto zitto, si ritrova a braccetto con la Roma. Dietro la Juve.
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