Cose da F1, Vettel vince il Gp degli inutili giochi di squadra

Cose da F1, Vettel vince il Gp degli inutili giochi di squadra

Nel reparto contabilità Red Bull stanno facendo di conto e sono novanta i punti di vantaggio di Vettel su Alonso, nove le sue vittorie quest'anno, cinque quelle di fila, trentaquattro in carriera. Seb ha messo le ali da un pezzo, da circa quattro anni, e infatti fra due settimane in India, là dove i nostri Marò non riescono a mettere le ali e tornare in Italia, là il Circo effeuno lo potrà incoronare iridato col poker a 26 anni. Come Schumi che quando conquistò il quarto mondiale ne aveva 34, come Fangio che quando ne mise in tasca quattro ne aveva 46. Ma erano altri tempi, si dirà. Vero. Ed erano altri uomini, altre auto, altre piste, altro sport, altro coraggio, altri rischi, altre cose.
Mentre nel reparto contabilità Red Bull fanno di conto anche sulle casse di bibite da portare in India e shakerare con champagne per far festa grande, altrove è tutto un leccarsi le ferite di nascosto facendo finta di avere più o meno salvato il salvabile. Per cui il terzo posto di Grosjean sulla Lotus buona che fino a due gare fa era di Raikkonen è comunque un bel vedere pensando al ragazzo che da brutto anatroccolo diventa cigno, ma è un brutto pensare riflettendo su cosa è diventata questa F1. E il caso Grosjean, che non è un caso ma solo un sospetto visto come Kimi ha chiuso malamente il rapporto col team, fa il paio con altre due situazioni. Quelle sì a loro modo un caso. Trattasi di Mark Webber che ha concluso secondo un Gp che avrebbe dovuto vincere ma gli è sfuggito perché c'era da proteggere e conservare e blindare e aiutare Vettel che, come si sa, guida il campionato di misura, solo pochi punti lo separano dall'agguerritissimo inseguitore: cioè Alonso. E, a proposito di Fernando alla fine quarto - e questo è l'altro caso - possibile che la Ferrari abbia voluto fare gioco di squadra per consentirgli di passare Massa al giro 8? Sì, purtroppo sì. Certo, poi si dirà che, in virtù del valzer dei pit, Hulkenberg è finito momentaneamente davanti alle due Rosse rompendo gli zebedei. Ma diamine, non c'è più in palio un mondiale. Sì, i punticini del costruttori, però dài...
A sollevare i dubbi sulla strana strategia a tre soste affibbiata a Webber sarà a fine corsa lo stesso Mark che, partito dalla pole, se la stava giocando secondo e in ottima forma e con molte possibilità di scavalcare Grosjean momentaneamente leader quando «please, prego Mark rientra per il primo pit» gli comunicheranno e lui «Di già, siete sicuri sia giusto?». Dubbi sacrosanti perché a quel punto la strategia è diventata quella conservativa e non vincente su tre soste. «Mark ha messo Grosjean sotto pressione nelle prime fasi e si è trovato a corto di gomme» spiegherà non creduto il team principal bibitaro Chris Horner. Più o meno stesso discorso per il Cavallino. «Strategia A» aveva urlato dal box il fido ingegnere Smedley, «e subito» aveva aggiunto inascoltato da Massa che ben sapeva cosa si nascondesse dietro quella A. «Era un'istruzione e non sono mai felice con le istruzioni...» dirà. Lui che aveva sempre ubbidito, stavolta lui ha detto no. Questioni di rinnovo mancato, certo, ma soprattutto questioni... come dire... che c'è un limite a tutto. Anche in uno sport come questo dove il gioco di squadra, visti gli interessi in ballo, è fondamentale e che noi abbiamo sempre difeso, anche in casi sgradevoli, vedi Hockenheim 2010, vedi Massa costretto a cedere la vittoria a Fernando. Ma all'epoca c'era un mondiale in palio, ieri non più. Se non altro Domenicali non si nasconderà dietro ragionamenti pseudo tecnici come il collega Horner, «alla fine Alonso l'ha comunque passato in pista... capisco lo stato d'animo di Felipe» dirà. E anche Fernando dirà: «Non è il caso di ingigantire questa vicenda...

qualsiasi cosa avessimo fatto oggi non sarebbe cambiato molto... Certo che sarebbe bello tornare ai tempi in cui lottavamo per il primo e secondo posto e il team decideva chi avrebbe vinto...». Vallo a dire a Massa, a Barrichello, a Irvine... E anche a Webber.

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