L' ultimo ricordo di Ronaldo alla Juve? Un gol annullato. Ovvero tutto e poi niente, quasi fosse scritta la conclusione voluta dal destino: riguardante un affaire più che un affare. La toccata e fuga di CR7 nel campionato italiano, la sua firma nella storia della Juventus, resteranno appese alla domanda: è stato un affare? O soltanto un affaire dove contava l'immagine, la portata del colpo di mercato, l'attrazione creata dal business? Senza tema di smentita si potrà dire che l'impronta calcistica di CR7 è stata a minor effetto rispetto a quella di antichi fuoriclasse visti in Italia: si tratti di Omar Sivori o Michel Platini, si parli di Diego Maradona o dell'altro Ronaldo, quello che non ha fatto disconoscere l'essenza da Fenomeno. Per dirla tutta: Cristiano non ha contribuito alle sorti della propria squadra più di Van Basten, Zico, Falcao, Zidane, Eto'o. È servito a vincere due scudetti, una coppa Italia, due supercoppe.
Eppoi ieri il colpo di teatro: via di corsa come nemmeno un ladruncolo, nevrotica primadonna a caccia dell'ultimo ingaggio. Si è presentato per 40 minuti alla Continassa, il tanto per dire ciao a tutti. Ed eccolo in volo per Lisbona, destinazione ritiro del Portogallo. Mentre a Manchester hanno cominciato a svelare il mistero. Non più direzione ManCity dove Guardiola storceva il naso e il club non offriva danaro in contropartita. Piuttosto Manchester United, la squadra da vecchio cuore dove Solskjaer era pronto ad accoglierlo. Ultima spiaggia per lui, per la Juve 28 milioni a sanare l'affare.
Già, dal brand CR7 si pretendeva anche un impatto economico, un contributo alle buone sorti delle casse juventine. L'impatto iniziale c'è stato, il marchio Juve diffuso nel mondo, i followers aumentati. Direte: i gol non interessano più? Certo, se ne sono contati 101 in 134 partite ufficiali, un'enormità che contraddistingue la bontà della sua classe calcistica. Anzi l'unicità: CR7 è una macchina da gol, più che un calciatore da squadra. C'è la squadra e c'è lui. Difficile mettere insieme le due identità. Troppo narcisista l'uno, forse poco squadra la Juve. Con il Real Madrid e con un Ronaldo più giovane si era vista altra storia. La Signora non ha saputo costruirgli intorno una squadra di livello, ha pasticciato infliggendogli tre allenatori in tre stagioni, segnale della dimensione ridotta e riduttiva del progetto. Preso Ronaldo, sono mancati i danari per completare l'opera: meglio, la squadra. E CR7 avrà intuito dalle mosse di mercato, che anche quest'anno non ci sarebbe stata corsa.
Ma sono più gli obbiettivi mancati: il club ha appena approvato un altro aumento di capitale (400 milioni) dopo quello da 300 milioni del 2019. Allora l'operazione di ricapitalizzazione e l'acquisto di CR7 erano figli di uno stesso piano strategico, teso a trovare mezzi per permettere al club di restare tra le grandi del calcio mondiale. Ronaldo individuato come ideale valore aggiunto (Allegri docet) per spingerla alla conquista della Champions. Dopo tre anni va detto: operazione fallita. Ronaldo non ce l'ha fatta, la Juve si è fermata due volte agli ottavi ed una ai quarti a fronte di un paio di finali giocate in precedenza. E i conti societari, complice la pandemia, non hanno trovato tutto l'impulso che prospettava il brand CR7 a fronte di 700 milioni di aumento capitale nel giro di tre annate, circa 86 milioni il peso del giocatore tra stipendio (dai 60 ai 64 milioni lordi) e ammortamenti, circa 250 nel triennio, oltre ai 115,5 spesi per acquisirlo. Aggiungiamo stipendi globali aumentati come l'indebitamento.
L'impatto negativo in Champions si è riflesso sul montepremi delle ultime tre edizioni: dai 264 milioni del 2015-2018 ai 260 dell'ultimo triennio nonostante premi e ricavi Tv più alti. Che dire? Un'occasione mancata: per CR7 e per la Juve. Meglio un addio senza rancor.
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