Cudicini, lo «stralongo» vestito da ragno nero

Fabio Cudicini, lo Stralongo che si vestiva da ragno per il suo conterraneo triestino Nereo Rocco, oggi compie ottant'anni. Portiere del grande Milan che proprio in questi giorni si chiede se Diego Lopez ha perso pure lui la bussola e prepara il lancio del baby Donnarumma già nel derby di domani. Mani grandi, la testa giusta, una gloria sportiva trovata a 32 anni, dopo una coppa delle Fiere vinta con la Roma a 26, una grande storia sportiva poi trasmessa al figlio Carlo, portiere del Chelsea per anni, iniziata a 20 nell'Udinese, 8 stagioni nella capitale, 18 partite nel Brescia fra il '66 e il '67, prima che il triestino Nereo Rocco lo chiamasse al Milan dove in 127 partite, fino alla chiusura nel 1972, vinse una coppa delle Coppe all'esordio, la seconda coppa dei Campioni rossonera nel 1969, anno anche della cruenta Intercontinentale conquistata fra calci e pugni sudamericani dopo lo scudetto della stagione '67-68.

Una bella storia. Una grande vita fra i pali che poteva toccare con le sue braccia da ragno illuminato, lui triestino nato il 20 ottobre 1935, 191 centimetri al servizio di una difesa che sapeva di essere sempre protetta quando la palla arrivava nell'area di porta. Rocco aveva bisogno del suo Stralongo nato alla cuspide fra bilancia e scorpione come Artur Rimbaud perché questo portierone che non ha mai avuto la gloria della maglia azzurra (soltanto la B) era proprio l'uomo adatto per vivere più di una "Stagione all'Inferno" come nelle poesie del maledetto francese, perché le sue parate erano proprio come i versi del poeta amico di Verlaine. Lui era per le Illuminazioni sulla testa di una difesa dove Anquilletti, Schnellinger, Rosato faccia d'angelo e Malatrasi potevano imprigionare, con Trapattoni, l'Ajax del calcio divino di Giovanni Cruiff, umiliandolo con il 4-1 (rigore di Vasovic dopo la doppietta di Prati che segnò il terzo alla fine su ispirazione di un grande Rivera, quando Sormani aveva avuto il dono da Hamrin e Lodetti) del Bernabeu il 28 maggio del 1969, strada aperta dalle notti magiche di Glasgow e di Manchester e chiusa con l'Intercontinentale conquistata alla Bombonera contro l'Estudiantes fra pugni e schiaffi, vittima il povero Combin.

Lui sapeva come placare la mente per arrivare all'illuminazione nell'uscita. Era il portiere ritrovato fra i dubbi di chi la sapeva lunga, come sempre in Italia, ma non aveva capito, come Rocco, le vere qualità dello Stralongo che aveva cominciato la sua carriera di portiere a Udine nel 1955 come riserva del mitico Primo Sentimenti. Dopo 166 presenze nella Roma era convinto di aver chiuso a Brescia nel 1967, quando Rocco gli chiese se ci vedeva abbastanza per proteggere la sua magica difesa. Aveva 32 anni, perché non provare. Fu straordinario in quella sua calzamaglia nera che gli inglesi consideravano la seconda pelle del vero ragno nero di una squadra che ha vinto tutto.

Ha finito in gloria con i trofei rossoneri, ma poi ha trovato il modo di investire bene le sue energie creative. Dopo il calcio il lavoro, le sue moquette erano guanti per case nobili. Lo abbiamo incontrato non tanto tempo fa quando chiedeva che le sue mani, magiche mani da grande portiere, fossero curate nella maniera più appropriata, perché anche nella seconda vita voleva che fossero sempre perfette, pronte a prendere il pallone che arrivava in area, nella vita come nel calcio, quando intorno c'era confusione e l'avversario voleva ingannarti.

Non ci sono riusciti quasi mai e a 80 anni Fabio Cudicini dimostra che i campioni veri non vivono di luce riflessa e non hanno bisogno di interviste, di riflettori. C'è una storia dietro a certi giganti. Basta quella per brindare ad un calcio che forse non esiste più.

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