Dai calciatori viziati ai presidenti arroganti: tutti perdono la faccia

Soldi alle squadre per pagare la tassa al posto dei giocatori? Anziché mediare, il governo del calcio fa proposte assurde

Dai calciatori viziati 
ai presidenti arroganti: 
tutti perdono la faccia

Fischiate già la fine. Siamo al No­vantesimo minuto del buonsenso: non c’è recupero e non c’è speran­za. Il calcio italiano ha perso la fac­cia: giocatori, presidenti, Federazio­ne, non si salva nessuno, non può avere ragione nessuno. Non ce l’hanno i calciatori viziati, non ce l’hanno i club arroganti e non ce l’ha la federazione inesistente.La Fi­gc avrebbe dovuto mediare, cerca­re una soluzione, sistemare tutto e far giocare questa benedetta prima giornata di campionato: bene, ha avuto la capacità di formulare la più insensata delle proposte. Quella di creare un fondo di 20 milioni dal quale le società possono prendere i soldi per pagare il contributo di soli­darietà della manovra economica del governo.

Ma perché? Come se la cassa dei notai usasse i suoi fondi per versare il contributo dei suoi iscritti. Una follia che rivela lo scar­so potere politico, diplomatico e persuasivo che ha la Figc:l’unica ar­ma di pressione sono i suoi soldi, al­la faccia dell’istituzione, del presti­gio, del potere che dovrebbe rappre­sentare nel suo ambiente. La Lega di serie A ha rifiutato l’of­ferta. Parla di principi, di valori, di re­gole. Balle, ovvio. Perché fa parte pienamente di questo mondo che sta perdendo la faccia. Come si fa a rimangiarsi gli accordi siglati qual­che mese fa coi calciatori? Come si fa a mettere nero su bianco che i gio­catori debbano pagarsi il contribu­to di solidarietà da soli?

L’avrebbe­ro dovuto dare per scontato, invece hanno giocato a fare i duri: mettia­molo, così nessuno potrà fare il fur­bo. La verità è che la furbizia era del­l­a Lega stessa: evidentemente ci so­no alcu­ni contratti singoli con i cal­ciatori che sono stati firmati con ci­fre al netto delle tasse. Così esiste il rischio che in quei casi siano i club a dover pagare. Allora meglio parare in anticipo, hanno pensato. Meglio evitare guai. Meglio, soprattutto, far passare i calciatori per egoisti e viziati. I calciatori sono entrambe le cose e anche stavolta non hanno perso occasione per dimostrarlo. Perdono la faccia con tutti gli altri.

La perdono perché quello che pro­pongono non è uno sciopero, ma un atto dimostrativo: non si gioca la prima giornata di campionato, ma la seconda sì. Scusate: qual è il sen­so? Èunsimbolo, èunaformadipro­testa mediatica e non reale. Come i pacifisti che all’epoca della guerra in Irak giravano per le strade con la bandieradellapace. Allorasimboli­smo per simbolismo avrebbero po­tuto trovare un’altra forma di dis­senso: una fascia al braccio, i capelli tinti di fucsia, il girotondo attorno al campo un minuto prima dell’inizio della partita. Qualunque cosa, ma non questo sciopero che li farà pas­sare per una casta di privilegiati più di quanto già siano, che farà indi­gnare i tifosi, che farà allontanare la gente da un mondo che non è più un’attrazione per molti motivi.

So­no caduti nel tranello della Lega che, rilanciando sul contributo di solidarietà, ha fatto passare il con­cetto più elementare e dal suo pun­to di vista vincente: i calciatori non vogliono pagare perché si sentono aldisopradelrestodelPaese. Iltem­pismo di questo presunto sciopero fa il resto: le gente non capirebbe ne­anche una protesta giusta, figurarsi una che è giusta nel merito solo fino a un certo punto. Perché anche sul­­la questione dei fuori rosa, i calciato­rihannoragioneametà: èincredibi­le e anche­ingiusto che i club voglia­nometterefuorisquadrachinonac­cetta rinnovi contrattuali. Non fir­mi? Io non ti faccio allenare col grup­po come strumento di pressione per evitare la classica fregatura del presidente moderno: comprare uno, spendere dei soldi, strapagar­lo e poi vedere che a scadenza di contratto se ne va a parametro zero. Però allo stesso tempo, è folle da par­te dei giocatori pensare che un club debba far allenare 35 giocatori tutti insieme, anche se alcuni, anzi mol­ti, non giocheranno mai.

La società lipaga, mapoihaildirittodinonfar­liscendereincampo, comequalun­que altro datore di la­voro ha il dirit­to di usare come meglio crede la pro­fessionalità di un suo dipendente. Il problema è che qui di principi non ce ne sono. Ognuno pensa solo al suo (legittimo) interesse. Solo che tutti invece di guadagnarci, fan­no solo la figura dei pezzenti, ipocri­ti, buffoni.Riescono nell’incredibi­­lerisultatodiaveretuttitorto.

Perdo­no credibilità, ammesso che ne ab­biano ancora un pezzetto. E potreb­bero perdere anche dei soldi: Sky, Mediaset e Rai potrebbero fare cau­sa e chiedere risarcimenti. Le tv ten­gono in piedi il carrozzone: se non si gioca, non pagano.

Se non paga­­no ci rimettono calciatori, presiden­ti, Lega e Federazione. Lo facciano, le tv.Così avremo l’accordo e si gio­cherà. Così avremo il nostro calcio, quello che ci siamo meritati dopo tre mesi di digiuno.

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