Alleluia brava gente anche il basket italiano può far festa se Mike D'Antoni, uno dei suoi idoli, anche se è nato a Mullens in West Viriginia, ma diventato allenatore qui, dopo l'inferno di New York dove si dimise un anno fa, ha firmato un quadriennale da 12 milioni di dollari con i Los Angeles Lakers. Torna il sole per Arsenio che era rimasto al buio con i Knicks, che per qualche giorno, al ritorno dall'ospedale dove gli avevano messo una rotula nuova al ginocchio destro che lo faceva zoppicare, non aveva luce, telefono, ma una finestra aperta sulla bufera Sandy che in un attimo è diventata brezza dolce dell'Atlantico per farlo volare fino al Pacifico.
Nato per soffrire, ma anche per incantare. Quando venne a Milano, nel 1977, trovò una squadra gloriosa, ma angosciata, come l'Olimpia Cinzano, senza mai dimenticare l'America, la Nba doveva aveva giocato con Kansas City e 2 partite con San Antonio dopo l'esperienza con Saint Louis nell'Aba, la seconda lega pro, scoprendo un mondo nuovo e per 12 stagioni Milano fu la sua squadra, il suo campo, la sua vita: 5 scudetti, 2 coppe campioni, 2 Korac e 2 coppe Italia, 1 intercontinentale, ritirandosi nel 1990 dopo aver scoperto anche la nazionale con Gamba. Allenatore delle scarpette rosse dal'90 al'94, una finale scudetto e una Korac, poi tre anni alla Benetton Treviso, una Saporta e il primo scudetto in carriera da tecnico, un rientro nel suo mondo, la Nba sempre sognata, al gelo di Denver nel 1999, vice a Portland l'anno seguente prima di tornare nella Marca per il secondo titolo nel 2002 l'anno del definitivo addio, dolorosissimo per Gilberto Benetton che non se lo aspettava e per questo gli ha quasi tolto il saluto, perché lo aveva chiamato Phoenix come vice prima di affidargli la squadra nel 2003 e a metà del percorso, nel 2005, fu eletto allenatore dell'anno nel paradiso che aveva sempre desiderato. Dopo 389 partite al caldo dell'Arizona (253 vittorie) accettò la sfida al veleno di New York nel 2008, alzando bandiera bianca dopo 288 tormenti, solo 121 vittorie, il 12 novembre del 2012.
Era fermo, anche se pagato dai Knicks, era depresso e zoppicante. Quando ha deciso di operarsi al ginocchio non immaginava che dall'anestesia sarebbe uscito sul carro di fuoco diretto in California e la mitica casa dei Lakers legata ai ricordi di Pat Riley, Magic Johnson e Jabbar prima e poi a Phil Jackson e Kobe Bryant, altra polveriera dove era caduta la testa di Mike Brown dopo 5 partite e 1 sola vittoria, con la gente ad invocare il vecchio guru odiato dal quasi cognato Jim Bush.
Ecco dove arriva D'Antoni che si presenterà fra qualche giorno. Ma per lui le grandi sfide sono sempre state l'unica medicina in una vita da grande giocatore d'azzardo. Sbarca a Los Angeles con la benedizione di Kobe Bryant che s'innamorò di lui come giocatore quando lo vedeva da bambino in Italia e poi lo ha apprezzato come assistente nella nazionale olimpica oro a Londra: «Io ho amato e amo Phil Jackson - ha detto Bryant quando gli hanno detto che era stato scelto Mike - ma sono molto eccitato di poter giocare per D'Antoni».
Più caldo del benvenuto di una società fra le più grandi che lo considera il migliore per questo momento dei Lakers anche se Jackson ha fatto sapere di essere sbalordito dalla scelta perché non aveva mai discusso di soldi anche se la scusa dei proprietari è stata proprio per il peso economico delle richieste. Una situazione molto simile a New York, ma perlomeno ha il capo giocatore dalla sua parte e il fido Nash («Sono innamorato del suo gioco e lo stimo molto come uomo e tutti lo sanno dopo gli anni passati insieme»), ritrovato dopo le meraviglie in coppia a Phoenix, pronto al suo gioco anche se per adesso è fuori, anche lui con problemi alle ginocchia.
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