Dea in campo per la Bergamo che riparte

La città falcidiata dal Covid cerca riscatto anche grazie all'Atalanta

Dea in campo per la Bergamo che riparte

Di nuovo nelle mani della Dea. Come tre mesi fa, come nelle notti magiche prima del Coronavirus, quelle della gioia e dell'inconsapevolezza. Come nel giorno più bello e più triste, quello che ha spalancato le porte dell'impossibile all'Atalanta e contemporaneamente ha precipitato Bergamo e le sue valli nell'incubo più imprevedibile. Bergamo che vive gli eccessi come non le era mai capitato, Bergamo che mola mia, come la sua Atalanta che tocca livelli mai visti nella propria storia, ma anche come la sua gente, i suoi medici, i suoi infermieri, i suoi volontari che si trovano a lottare, più di ogni altro in Italia, con quel morbo venuto da lontano che ha sconvolto e rubato troppe vite.

Adesso Bergamo torna anche a giocare a pallone, dopo aver cercato di ritrovare una vita quasi normale, per quanto lo possa essere quella di una città che ha sofferto e pianto centinaia e centinaia di morti. Oggi si riaprono le porte del Gewiss Stadium, il vecchio Brumana, poi diventato Azzurri d'Italia, infine rinominato per esigenze commerciali in coincidenza con i lavori di ammodernamento che sono ancora in corso: si gioca Atalanta-Sassuolo, recupero di una triste domenica di fine febbraio, quando già l'allarme-Covid era scattato, ma avevano fermato solo le partite del Nord, a Milano, Torino, Verona, Bergamo appunto, sperando che si trattasse solo di una precauzione. E invece era la vigilia dell'inimmaginabile. L'Atalanta era nel pieno del suo magic moment e avrebbe fatto ancora in tempo a stravincere a Lecce e a ubriacare il Valencia anche nel ritorno degli ottavi di Champions. Ma la sfida dell'andata a San Siro era già stata, secondo molti, un volano naturale per la diffusione del virus e lo stesso Gasperini ha poi confessato di essere stato contagiato, anzi di essere andato in Spagna già ammalato, ridotto come uno straccio.

Adesso però è pronto a ripartire, come tutta Bergamo «perché è un modo per riaggrapparsi alla vita. Quello che è successo è difficile da rimediare con qualunque altro tipo di impresa. Ma cercheremo anche noi, con il calcio, di portare sorrisi a una città stravolta», pensando ai camion con le bare, rispondendo di fatto anche agli ultrà che dopo aver montato l'ospedale da campo, assieme agli alpini, hanno ripetuto a lungo che questo campionato non doveva riprendere.

Ma forse, adesso, anche loro vorranno aggrapparsi a questo tentativo di tornare normali. Anche se la Dea giocherà senza di loro, sola nello stadio in ricostruzione. Un altro simbolo di Bergamo che mola mia, che non vuole arrendersi.

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