Chi non avrà ripensato a quella scena di Mexico City? Black power e teste basse sul podio. Qui non più atletica ma nuoto, non olimpiadi ma mondiali di Gwangju, Corea: guarda caso un paese asiatico come asiatico è stato il vincitore dei 400 stile libero. L'ideale era meno nobile, ma di ugual impatto: doping si o doping no? Questo cinese è vero o fasullo? Mark Horton, l'australiano campione olimpico, lo ha chiesto ancora una volta presentandosi davanti al podio senza salirci, sguardo lontano, nemmeno una occhiata verso Sun Yang, il 4 volte campione mondiale cinese dalle mille sfumature di grigio: troppe storie poco chiare, anche quelle provette prese a calci per non farle analizzare. E Paolo Barelli, presidente italiano e membro della Fina, l'ente che non ha dato risposta al famoso quesito, un po' impacciato e un po' sbigottito nel porgere la medaglia.
Terzo incomodo Gabriele Detti ancora terzo, ancora con un bronzo che farà la sua storia dopo la sfortunata stagione scorsa, ancora sul podio dei 400 insieme a quei due, come se il tempo non fosse passato: a Budapest 2017 stessa classifica, stesso campione, stessa rabbia dell'australiano nei confronti di un tipo definito «drug cheat», uno che gioca (ha giocato) sporco. «Non salire neanche tu», ha detto Horton al nostro. Ma Detti, pur livornese quindi con vivacità caratteriale, non ha il carisma del leader, è un bravo ragazzo che cerca la storia: non ha capito che poteva entrare nella leggenda. «Non salirci? Figurati, con tutta la fatica che ho fatto per arrivarci», ha risposto. Chissà! Forse non dimentico che il nostro governo ama la via cinese della seta. Questione diplomatica.
Detti non è entrato nemmeno nella mischia d'acqua per il titolo, è rimasto aggrappato alla tattica nei primi 200 m, ha rispolverato il famoso rush negli ultimi 50 pensando di arrivare secondo, ma senza accorgersi che l'australiano schiumava rabbia contro Sun Yang («Però mai così vicino» ha riassunto Detti pensando al futuro) e mangiava metri a lui per la seconda volta nel giro di due anni. Per il nostro, record italiano (3'4323), bronzo e un bonario rimpianto: «Ho detto ancora a mia mamma: perché non mi hai fatto 5 cm più lungo, avrei acchiappato un argento». In finale anche Marco De Tullio, 18enne barese: 5° con onore e magari legittimo erede di Detti.
La crudeltà del nuoto risiede tutta in questi finali: mezza bracciata e perdi la medaglia. Se lo sono raccontato pure i ragazzi della 4x100 sl: il tocco di Miressi tarda un attimo ed ecco la classifica che dice Usa, Russia, Gran Bretagna. Condorelli, Frigo, Dotto e Miressi con il record italiano (3'1139) e una sfida: «A Tokyo saremo più veloci noi». Invece non ci sono dubbi sui grandi affreschi di giornata: Katie Ledecky che perde la finale dei 400 sl dall'australiana Titmus, come le capitò con la Pellegrini nei 200 sl.
E Adam Peaty, il fantastico inglese della rana, un campione ancora affamato che, nelle semifinali dei 100 (fuori Martinenghi e Scozzoli), ha sfondato il muro dei 57 secondi (5688). Lui nella leggenda, dalla porta principale.
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